REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Prof. Antonio La Torre Primo Presidente Aggiunto Dott. Mario Corda Presidente di Sezione Dott. Romano Panzarani Presidente di Sezione Dott. Francesco Amirante Consigliere Dott. Massimo Genghini Consigliere Dott. Raffaele Corona Consigliere Dott. Paolo Vittoria Consigliere Dott. Erminio Ravagnani Rel. Consigliere Dott. Roberto Michele Triola Consigliere ha pronunciato la seguente S E N T E N Z A sul ricorso proposto da: ALCATEL CAVI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FILIPPO CESI n. 44, presso lo studio dell'avvocato CASSIOLI ROBERTO, rappresentato e difeso dall'avvocato DOMENICO ROSANO, giusta delega a margine del ricorso; ricorrente contro NARDIN RODOLFO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA Otranto n. 18, presso lo studio dell'avvocato PIERLUIGI PANICI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in calce al controricorso; controricorrente avverso la sentenza n. 119/93 del Tribunale di LATINA, depositata il 01/07/93; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’11/12/97 dal Consigliere Dott. Erminio Ravagnani; udito l’Avvocato Pierluigi Panici per il controricorrente; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Franco MOROZZO DELLA ROCCA che ha concluso per il rigetto del ricorso. Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 31 ottobre 1989 il signor Rodolfo Nardin adiva il Pretore di Latina, esponendo che egli, quale dipendente della società Fulgorcavi s.p.a., era stato posto in ferie per il periodo 31 luglio / 19 agosto 1989, durante il quale si era ammalato. Aggiungeva che la malattia si era protratta per undici giorni e che, rimesso il relativo certificato medico sia all'INPS sia alla datrice di lavoro, quest'ultima si era rifiutata di riconoscere come non imputabili alle ferie i giorni coincidenti con quelli di durata della malattia. Tanto esposto, ed invocando il principio di diritto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 616 del 30 dicembre 1987, secondo cui la malattia intervenuta durante le ferie ne sospende il godimento, chiedeva che fosse dichiarato il proprio diritto a fruire di undici giorni di ferie e condannata la società datrice di lavoro al pagamento della somma di £ 724.900.= nette, pari alla retribuzione. La società Fulgorcavi contestava la fondatezza della domanda, osservando che il contratto collettivo 1° giugno 1988 aveva disciplinato ex novo, rispetto all'invocata decisione della Corte Costituzionale, l'istituto del congedo ordinario, stabilendo che l'interruzione delle ferie per sopravvenuta malattia in corso di godimento delle stesse si verifica solo ove si tratti di malattia che comporti il ricovero ospedaliero. Il Pretore adito accoglieva la domanda. La società soccombente - ora Alcatel Cavi s.p.a. - interponeva gravame, cui resisteva il Nardin. Il Tribunale di Latina rigettava l'appello, osservando quanto segue. La Corte Costituzionale, con sentenza 30 dicembre 1987, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2109 cod. civ., nella parte in cui non prevede la sospensione del periodo feriale per l'insorgenza di una malattia nel corso dello stesso, in relazione al principio, posto dall'art. 36 Cost., dell'effettiva fruizione delle ferie. Dal tenore letterale della sentenza emerge che non vi è spazio alcuno per limitare il principio enunciato dalla Corte, poiché ogni malattia, e non solo le affezioni di rilevante gravità, è idonea a compromettere le finalità delle ferie, costituenti il fondamento delle norme che le prevedono: il recupero delle energie psico-fisiche, il soddisfacimento delle esigenze ricreativo-culturali e la partecipazione alla vita sociale e familiare. D'altra parte, il rinvio operato nella sentenza ad una disciplina di dettaglio non si riferisce ad una normativa limitativa ò restrittiva. ma all'esigenza di stabilire in concreto soltanto le modalità di attuazione del principio enunciato dalla Corte Costituzionale, con l'intervento del legislatore, in via diretta o attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva. Avverso questa sentenza l'Alcatel Cavi ha proposto ricorso per cassazione con un unico, articolato motivo. Il Nardin ha presentato controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie. La causa è stata assegnata a queste Sezioni Unite, in quanto nell'applicazione della norma civilistica di cui all'art. 2109, nella nuova formulazione risultante dalla pronuncia della Corte Costituzionale n. 616 del 1987, è sorto contrasto di giurisprudenza nell'ambito della stessa Sezione lavoro della Corte di Cassazione. Motivi della decisione La società ricorrente, deducendo violazione dell'onere della prova a carico del ricorrente in primo grado, assume che il Nardin non ha assolto all'onere probatorio posto a suo carico dall'art. 414 cod. proc. civ. in ordine alla natura dell'evento-malattia, tale da non consentire il recupero psico-fisico al quale è finalizzato l'istituto delle ferie. Deducendo inoltre violazione dell'art. 2109 cod. civ. ed espressamente modificando "così in parte la linea difensiva espressa in primo grado", ammette di "non condividere l'orientamento che richiede la necessità del ricovero ospedaliero del lavoratore", ma lamenta che il Tribunale, non interpretando correttamente la norma risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 616 del 1987, abbia ritenuto che ogni malattia abbia effetto sospensivo delle ferie in modo automatico non già soltanto quella che, immediatamente comunicata al datore di lavoro per consentirgli eventuali controlli, pregiudichi la funzione del recupero psico-fisico proprio delle ferie. Il ricorso non può essere accolto, anche se la motivazione della sentenza impugnata, il cui dispositivo è conforme a diritto e deve pertanto essere confermato, non è del tutto condivisibile e deve quindi essere corretta, a norma dell'art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., nei sensi precisati da quanto segue. Per una corretta impostazione della controversia e per la composizione del segnalato contrasto è opportuno ricordare che con sentenza delle Sezioni Unite 26 marzo 1982 n. 1892 questa Corte aveva affermato il principio di irrilevanza per il datore di lavoro del verificarsi del rischio malattia, così come di cause familiari, ambientali o d'altro genere ( eventi incontrollabili, sui quali, come la stessa malattia o il fatto che il lavoratore svolga una qualsiasi attività presso terzi, il datore di lavoro non può né deve interferire ) che di fatto impediscano o riducano il recupero delle energie lavorative del dipendente. Sollevata peraltro da questa stessa Corte e da due giudici di merito questione di legittimità costituzionale dell'art. 2109 cod. civ. in relazione agli artt. 3 e 36 Cost., la Corte Costituzionale, con la menzionata sentenza n. 616 del 1987, ha dichiarato la illegittimità del citato articolo codicistico nella parte in cui non prevede che la malattia insorta durante il periodo feriale ne sospende il decorso. Dopo aver individuato il contenuto del diritto alle ferie, quale delineato negli artt. 2109 e 36 citati, nella necessità ed irrinunciabilità della loro effettiva fruizione al fine di consentire al lavoratore di ritemprare le energie psicofisiche usurate dal lavoro e di soddisfare le sue esigenze ricreativo-culturali e più incisivamente partecipare alla vita familiare e sociale, essa ha affermato, tra l'altro. che le finalità che tali norme intendono conseguire sono certamente frustrate dall'insorgere della malattia durante il periodo feriale. Ha poi osservato che il legislatore ha già escluso dal periodo feriale alcuni eventi, quale il preavviso, e ne ha per altri, quale la gravidanza, previsto l'interruzione ed ha aggiunto che molti contratti collettivi già prevedono la sospensione del periodo feriale per malattia, come, del resto, le stesse norme disciplinatrici del rapporto di pubblico impiego ( art. 6, secondo comma, DPR 16 ottobre 1979 n. 501 e art. 6 DPR 7 novembre 1980 n. 810 ). Ha infine rilevato che "certamente l'attuazione del principio che si va affermando, della sospensione del periodo feriale per malattia insorta durante lo stesso, ha bisogno in concreto di una disciplina di dettaglio", mediante un intervento specifico del legislatore o della contrattazione collettiva cui quest'ultimo, a sua scelta, potrà rinviare. La stessa Corte Costituzionale ha peraltro successivamente affermato, con sentenza del 19 giugno 1990 n. 297 ( in tema di rapporto tra cure idrotermali e ferie ), che "l'esigenza di una disciplina di dettaglio enunciata nella sentenza n. 616 discende appunto da ciò, che il principio dell'effetto sospensivo non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni, per l'individuazione delle quali occorre avere riguardo alla specificità degli stati morbosi e delle cure di volta in volta considerate", in ragione delle quali detto effetto deve essere riconosciuto "quando...l'essenziale funzione delle ferie possa dirsi in concreto pregiudicata". A seguito di questi interventi della Corte Costituzionale, la giurisprudenza di legittimità, come peraltro quella di merito e la dottrina, si è divisa sulla portata della declaratoria di illegittimità dell'art. 2109 cod. civ.. Secondo un orientamento, in base alla disposizione di cui all'art. 2109 cod. civ., nel testo risultante dalla sentenza costituzionale n. 616 del 1987, ed in assenza della disciplina di dettaglio in essa auspicata, la malattia insorta durante il periodo di ferie ne sospende in ogni caso il decorso, a prescindere da ogni indagine circa la sua compatibilità con l'utilizzazione delle ferie stesse (Cass. 8 novembre 1996 n. 9762; 27 luglio 1996 n. 6808; 11 marzo 1995 n. 2847; 28 giugno 1994 n. 10110; 9 giugno 1994 n. 5598; 5 marzo 1993 n. 2704; e 26 gennaio 1989 nn. 476 e 477 ). In particolare, si è affermato che la sentenza n. 616 del 1987 della Corte Costituzionale è una sentenza additiva di accoglimento, in virtù della quale il testo originario dell'art. 2109 cit. ha cessato di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione, e deve, pertanto, ritenersi comprensivo della regola per la quale la malattia interrompe " in ogni caso" il decorso delle ferie. Si è poi sottolineato che l'auspicio di una disciplina di dettaglio non condiziona la fattispecie, consistendo in una "autorevole quanto disattesa esortazione rivolta al legislatore ed alle parti sociali". Si è inoltre ritenuto che la sentenza costituzionale n. 297 del 1990 non può indurre a diverse conclusioni, considerato che ha preso in esame "una specifica sfaccettatura del diritto al godimento delle ferie in relazione alla concomitante esigenza di fruire di cure idrotermali", e considerato che, in linea di principio, quale sentenza interpretativa di rigetto, non può circoscrivere la portata della sentenza n. 616, che è additiva di accoglimento. Si è anche escluso che possa farsi ricorso all'analogia per ricavare dalle disposizioni in materia di pubblico impiego la regola del rapporto tra ferie e malattia. Si è infine affermato che incombe al lavoratore unicamente l'onere di dare tempestiva comunicazione della malattia al datore di lavoro, secondo le modalità stabilite dalla legge, o dalla contrattazione collettiva o individuale. Secondo un altro orientamento giurisprudenziale, invece, il principio dell'effetto sospensivo delle ferie per l'intervenuta malattia non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni, per l'individuazione delle quali occorre avere riguardo alla specificità degli stati morbosi e delle cure di volta in volta considerate, al fine di accertare l'incompatibilità della malattia con la salvaguardia dell'essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psicofisiche e ricreazione propria delle ferie (Cass. 10 aprile 1997 n. 3093; 20 dicembre 1995 n. 12998; 27 luglio 1994 n. 6982; 24 marzo 1994 n. 2833). In particolare, si è affermato che la necessità di una disciplina di dettaglio dimostra l'inesistenza di un principio di assoluta rilevanza di qualsiasi malattia ai fini della sospensione delle ferie, così come confermato dalla sentenza costituzionale n. 297 del 1990, riferita bensì alle cure idrotermali, ma avente portata generale nei confronti dell'evento malattia e del suo rapporto con la funzione delle ferie. Si è anche affermato che incombe al lavoratore l'onere di provare la sussistenza di concrete caratteristiche della malattia, tali da non consentire il normale ed effettivo godimento delle ferie e costituenti elemento costitutivo del diritto ad ottenere la sospensione delle ferie medesime. Orbene, anzitutto, è incontroverso che, nella specie, la Corte Costituzionale abbia emesso, con la sentenza n. 616, una pronuncia additiva di accoglimento, in quanto, per effetto della logica stessa del sistema costituzionale, in primis dell'art. 36, e senza sovrapporsi a legittime scelte del legislatore, ha censurato la norma contenuta nell'art. 2109 cod. civ. per aver omesso di stabilire l'effetto sospensivo del decorso del periodo feriale nel caso di insorgenza di malattia. Invero, essa ha supposto che tale omissione significasse una carenza della disciplina, che invece avrebbe dovuto esserci affinché la norma, complessivamente considerata, non contrastasse con la norma costituzionale-parametro, ed ha quindi esplicitato in via indiretta la disciplina che difettava, traendola per analogia dalle norme e dai principi contenuti nel sistema. Ciò posto, poiché tale norma deve ora essere interpretata alla luce di siffatta "addizione", lungi dal potersi ritenere arbitrario, è invece doveroso l'intervento del giudice nella relativa lettura con l'ausilio degli ordinari criteri ermeneutici. E, tra questi, è indubbiamente corretto, in quanto si ritenga condivisibile il risultato della relativa operazione, il ricorso alle affermazioni comunque espresse dalla stessa Corte Costituzionale non solo nella motivazione della stessa sentenza di accoglimento, ma anche nella successiva sentenza n. 297 interpretativa di rigetto, nella quale è evidente e condivisibile l'intento di precisare la portata della precedente pronuncia. Al contrario, l'applicazione "tout court" della norma dell'art. 2109 cit. risultante dall'intervento di detta Corte, sul presupposto dell'assolutezza del principio della sospensione delle ferie per malattia, significherebbe non corretta rinuncia al pur doveroso compito di trovare le ragioni della innovazione normativa, espressamente e per ben due volte rese palesi dallo stesso giudice delle leggi e, per la loro coerenza e ragionevolezza - oltre che per l'autorevolezza della loro fonte -, condivisibili. Del resto, già altre volte la Corte di Cassazione ha fatto ricorso, in funzione ermeneutica, alla motivazione non solo delle .sentenze di accoglimento, ma anche di quelle interpretative di rigetto, come ad esempio, di recente, in tema di indebito previdenziale, a quella delle sentenze n. 431 del 1993 e n. 166 del 1996, delle quali ha applicato, tra gli altri, il "principio di settore" ivi enunciato, non, ovviamente, per la natura della pronuncia, che, come è incontroverso, non è obbligatoria, ma per la coerenza e ragionevolezza e, quindi, per la condivisibilità del principio stesso (Cass. nn. 11008, 11009, 11010 del 1996). Ora, il richiamo contenuto nella sentenza n. 616 alla funzione delle ferie, ai contratti collettivi ed alle stesse norme disciplinatrici del rapporto di impiego pubblico (che già prevedono la sospensione del periodo feriale, per effetto della malattia insorta durante lo stesso, non in ogni caso, ma solo in quanto, ad esempio, ne segua il ricovero in ospedale o si tratti di evento di rilevante gravità, e, quindi, sia frustrata la predetta funzione), e l'affermazione, da un lato, che il principio in essa enunciato non può ritenersi contrastato dalla "necessità di considerare l'entità della malattia" e, dall'altro, che l'attuazione del principio medesimo ha bisogno in concreto di una disciplina di dettaglio inducono a ritenere che l'intervento del giudice ordinario sul principio affermato dalla Corte Costituzionale possa essere limitativo sia per il fatto che le ragioni della dichiarazione di illegittimità costituzionale lasciano spazio ad un'interpretazione in tal senso della norma risultante dalla pronuncia n. 616, sia per la considerazione che la disciplina di dettaglio della materia, sino ad ora dalla Corte invano auspicata, sarebbe inutile, siccome sicuramente superflua, ove quest'ultima avesse voluto avallare la tesi dell'operatività automatica della sospensione, come conseguenza ineludibile del solo accertamento medico dello stato morboso. Se pertanto l'inattività del legislatore e, in parte, dei soggetti della contrattazione collettiva non può giustificare la disapplicazione dell'art. 2109 cod. civ., non può del pari ritenersi corretta l'applicazione assoluta del principio che, nella stessa prospettiva dei giudici costituzionali, deve invece avere un preciso e delimitato ambito applicativo. Al riguardo, assume particolare rilievo la nozione di malattia che deve ritenersi delineata dal giudice delle leggi quale elemento impeditivo del decorso delle ferie. Premesso che nel nostro ordinamento non esiste una definizione unitaria di malattia, e che nel concetto di malattia definito dalla scienza medica rientra ogni alterazione patologica dell'organismo umano. non può ritenersi che al fine di individuare la nozione di malattia quale elemento impeditivo del decorso delle ferie possa farsi riferimento esaustivo all art. 2110 cod. civ., che disciplina quell'evento quale causa di inesigibilità della prestazione lavorativa, con specifico riferimento alle particolari mansioni assegnate al lavoratore. Invero, poiché è incontroverso che sia possibile una situazione morbosa compatibile con l'espletamento da parte del lavoratore ammalato di un'altra attività comunque lavorativa in favore di terzi, sia pure fino a quando ciò non si rifletta negativamente sul recupero delle energie psicofisiche, ed è quindi in tale ipotesi evidentemente recepita una nozione di malattia relativa e non assoluta, appare coerente adottare una nozione di malattia funzionale ai diversi istituti giuridici e, quindi, all'accertamento della sua incidenza sull'istituto delle ferie ed affermare di conseguenza che non già tutte le malattie siano incompatibili con il riposo annuale, ma solo quelle la cui entità sia tale da impedire il godimento delle ferie. Il principio costituzionale di cui alla sentenza n. 616 è destinato quindi ad operare ogni qualvolta la funzione tipica delle ferie risulti pregiudicata in concreto dalla malattia, anche in mancanza di una specifica disciplina di dettaglio che colleghi l'interruzione delle ferie a specifiche ipotesi di evento morboso, non potendo trovare applicazione in via analogica le norme dettate in tema di impiego pubblico (Cass. 20 dicembre 1995 n. 12998 ), ed è, d'altra parte, evidente che una limitazione alla sua efficacia, in quanto vulnus dell'espressione di garanzie costituzionali, non potrebbe certamente derivare da una regolamentazione negoziale (collettiva o individuale, nel caso certamente illegittima, come nella specie in esame) in cui il contratto prevedesse l'operatività del principio solo per malattia con conseguente ricovero ospedaliero (v., al riguardo, in motivazione, Cass. 17 novembre 1997 n. 11401) e non piuttosto per malattia comunque incompatibile con il godimento delle ferie. E' bensì vero che la malattia giustificatrice dell'assenza dal posto di lavoro, ai sensi dell'art. 2110 cod. civ.. ( in dottrina, per incapacità al lavoro ) può ritenersi normalmente idonea a determinare anche l'impedimento in questione ( sempre in dottrina, per incapacità al riposo ), ma è altrettanto vero che tale presunzione ben può essere smentita di volta in volta dalla particolarità del caso, quando, in ipotesi, l'alterazione fisiologica, preclusiva della prestazione lavorativa contrattualmente prevista, risulti in concreto compatibile con le finalità del periodo feriale. Tale rilievo, che ha evidente valenza sostanziale, nel senso che attiene alla considerazione, sul piano fisiologico, del rapporto tra malattia e ferie, si riflette, sul piano patologico della contestazione e, quindi, della lite, sull'oggetto e sull'incidenza dell'onere della prova. Per quanto attiene al primo, il piano sostanziale, la comunicazione (che è atto ricettizio) dello stato di malattia è assolvimento dell'onere da parte del lavoratore perché la sua assenza per fruizione delle ferie muti - se, come supposto dallo stesso lavoratore, ne ricorrano gli estremi - in assenza per malattia, relativamente però al solo periodo successivo al ricevimento da parte del datore di lavoro della comunicazione stessa - in osservanza del principio di bilanciamento dei contrapposti interessi, di correttezza e di buona fede -, restando invece imputabile a titolo di ferie il periodo di assenza anteriore a detta comunicazione (Cass. 5 maggio 1993 n. 2704). Ed è evidente che quest'ultima, inviata al datore di lavoro contestualmente all'invio all'istituto previdenziale della certificazione sanitaria al fine di conseguire le relative prestazioni, da un lato, non deve necessariamente far riferimento alla diagnosi affinché possa apprezzarsi l'entità della malattia e stabilirne la possibile incidenza sulle ferie, e, dall'altro, è effettuata al fine non tanto - o, quanto meno, non in via primaria - di giustificare l'assenza dal lavoro, ma, piuttosto, appunto, di impedire il decorso delle ferie, sul presupposto della sua rilevanza a tali fini (oltre che, in via secondaria, della sua idoneità a rendere inesigibile la prestazione lavorativa altrimenti dovuta a seguito della conversione del titolo dell'assenza). Per quanto attiene al secondo piano - quello patologico del processo - occorre notare che dal precedente rilievo in ordine al carattere della malattia come evento "normalmente" idoneo a giustificare sia l'assenza dal posto di lavoro per l'espletamento delle mansioni contrattualmente previste, sia l'impedimento al godimento delle ferie si induce, in caso di contestazione e, quindi, di lite, che l'onere della prova, contraria alla - anche solo implicitamente - dedotta idoneità della malattia a determinare detto impedimento, incide sul datore di lavoro, al quale non può non riconoscersi anche in tale ipotesi, come peraltro non è controverso in dottrina e in giurisprudenza, il potere di attivare gli accertamenti sanitari previsti dall'art. 5 legge 20 maggio 1970 n. 300 (cd. statuto dei lavoratori), i quali consentiranno poi di valutare l'idoneità o no dell'evento ad impedire la prosecuzione del periodo feriale e, quindi, di ritenere in concreto verificata - secondo l'assunto del lavoratore - oppure no la fattispecie prevista dall'art. 2109 cod. civ. nella formulazione risultante a seguito della sentenza costituzionale n. 616 del 1987. Tale rilievo sul piano processuale, d'altra parte, trova riscontro in una parte della dottrina, la quale, in tema di accertamenti sanitari ai sensi dell'art. 5 cit., afferma bensì che è onere del lavoratore in servizio dimostrare lo stato di malattia, ma rileva anche che l'osservanza di tale onere determina, per effetto della disciplina del procedimento extraprocessuale di acquisizione della certificazione medica. di cui a detto articolo un'inversione dell'onere della prova o una sua semplificazione. in quanto, inviata all'istituto previdenziale la certificazione medica del caso, è poi il datore di lavoro che deve provare l'inesistenza o l'irrilevanza della malattia calvo sempre comunque il libero apprezzamento giudiziale della idoneità probatoria della certificazione e delle contrapposte deduzioni. Appare così opportuno notare, altresì, che la distinzione tra i due rilevati piani - sostanziale e processuale -, in verità non tenuta ben presente da alcuni autori ed in alcune sentenze, sì da far ritenere la sospensione delle ferie discendente non dall'entità della malattia, ma...dalla certificazione dello stato di malattia o dalla possibilità di effettivo controllo, è certamente utile per rendere manifesta la irrilevanza della difficoltà - peraltro avvertita dalla stessa Corte Costituzionale, nella sentenza n. 616 cit., che, ovviamente, l'ha ritenuta non ostativa per l'applicabilità del principio - dei controlli della malattia, posto che l'attivazione degli accertamenti sanitari, da un lato, presuppone la produzione della certificazione sanitaria dovuta dal lavoratore sia ai fini previdenziali sia ai fini della prova dell'inesigibilità della prestazione altrimenti dovuta a seguito della pretesa conversione del titolo dell'assenza per ferie, e, dall'altro, consente la eventuale confutazione della incidenza della malattia, oltre che sull'applicazione della prestazione lavorativa alle specifiche mansioni da svolgere, anche sulle finalità costituzionalmente garantite del riposo annuale. Alla stregua dei rilievi svolti possono quindi essere affermati i seguenti principi. "In tema di malattia insorta durante il periodo di godimento delle ferie, il principio dell'effetto sospensivo di detto periodo, enunciato nella sentenza n. 616 del 1987, come chiarito dalla stessa Corte con la sentenza n. 297 del 1990, non ha valore assoluto, ma tollera eccezioni, per l'individuazione delle quali occorre aver riguardo alla specificità degli stati morbosi denunciati ed alla loro incompatibilità con l'essenziale funzione di riposo, recupero delle energie psicofisiche e ricreazione, propria delle ferie". "L'avviso, comunicato dal lavoratore, dello stato di malattia, sul presupposto della sua incompatibilità con le finalità delle ferie, determina - dalla data della conoscenza di esso da parte del datore di lavoro - la conversione dell'assenza per ferie in assenza per malattia, salvo che il datore di lavoro medesimo provi la infondatezza di detto presupposto. Il giudice del merito deve in tal caso valutare il sostanziale ed apprezzabile pregiudizio anche temporale che la malattia arrechi alle ferie ed al beneficio che ne deve derivare in riferimento alla natura ed entità dello stato morboso". Il Tribunale di Latina non ha seguito questi principi e, quindi, come si è premesso, la motivazione della impugnata sentenza deve essere corretta alla stregua di essi. Il dispositivo, invece, deve essere mantenuto fermo, posto che la prima censura, relativa all'onere della prova è, per quanto si è detto, infondata e la seconda censura è addirittura inammissibile, atteso che dalla contestazione fondata in primo grado sulla previsione contenuta nella contrattazione collettiva, secondo cui impedisce il godimento delle ferie soltanto la malattia che comporti il ricovero ospedaliero, discende la preclusione del mutamento espressamente dichiarato della tesi difensiva ora involgente diversi presupposti anche di fatto, a prescindere dalla già cennata illegittimità della richiamata previsione contrattuale. Il ricorso deve dunque essere rigettato. Quanto alle spese giudiziali, sussistono giusti motivi per la loro integrale compensazione tra le parti. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e compensa per l'intero tra le parti le spese di questo giudizio. Così deciso in Roma, il giorno 11 dicembre 1997. L'Estensore (Dott. Erminio Ravagnani) Il Primo Presidente Aggiunto (Prof. Antonio La Torre)
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