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Legge e giustizia: giovedì 28 marzo 2024
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RISARCIMENTO DEL DANNO DA ESPOSIZIONE ALL'AMIANTO - Per mancata applicazione di misure di tutela (Cassazione Sezione Lavoro n. 10425 del 14 maggio 2014, Pres. Miani Canevari, Rel. Buffa).
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Con
sentenza del 5.2.2007, la Corte
d'Appello di Catanzaro ha confermato la decisione del Tribunale di Paola che
aveva accolto la domanda, proposta dagli eredi di Rosalbino S. nei confronti di
Rete Ferroviaria Italiana spa, avente ad oggetto il risarcimento del danno
biologico e morale derivante dalla morte del loro dante causa quale conseguenza
di patologia contratta nell'espletamento del rapporto di lavoro. In
particolare, la corte territoriale ha affermato la responsabilità del datore di
lavoro in relazione alla morte per carcinoma del lavoratore che aveva svolto
mansioni di macchinista ed era perciò stato a contatto con materiali di amianto,
all'epoca usati ampiamente per la coibentazione nei locali attigui alle cabine
di guida dei locomotori. La
Corte ha ritenuto che all'epoca fosse già noto il rischio
relativo all'amianto e che i tempi di latenza della patologia - peraltro già
riconosciuta quale "causa di servizio" - potevano ben spiegare che la prima
diagnosi della stessa fosse stata successiva di due anni alla cessazione del
rapporto lavorativo del Santoro. L'azienda ha proposto ricorso per cassazione
censurando la decisione della Corte calabrese per vizi di motivazione e
violazione di legge.
La
Suprema Corte
(Sezione Lavoro n. 10425 del 14 maggio 2014, Pres. Miani Canevari, Rel. Buffa)
ha rigettato il ricorso con la seguente motivazione:
"La sentenza impugnata ha affermato che l'esistenza
della patologia del lavoratore e del nesso di derivazione causale dall'attività
lavorativa sono state riconosciute in concreto dallo stesso datore di lavoro,
che ha riconosciuto con delibera 23.6.1998 agli eredi del lavoratore la
pensione privilegiata, sul presupposto espresso che il decesso del dante causa
fosse "dipeso da eventi connessi con il servizio ferroviario". Il datore di
lavoro pretenderebbe oggi di escludere la propria responsabilità, per aver
fatto tutto quanto in suo potere con riferimento alle conoscenze dell'epoca,
per preservare la salute dei dipendenti. L'assunto non può essere accolto. La
giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che la responsabilità
dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., pur non essendo di carattere
oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l'omessa predisposizione da parte
del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare
l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto
conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio. Il principio è
stato applicato specificamente con riferimento al rischio da esposizione
all'amianto da Sez. Lav. n. 2491 del 01.02.2008 (che ha confermato la sentenza
della Corte territoriale che, con completa e coerente motivazione, aveva
affermato la responsabilità del datore di lavoro, esattamente considerando come
noto al tempo dei fatti di causa - 1975/1995 - il rischio di inalazione di
polveri di amianto) e da Sez. Lav. n. 644 del 14/01/2005 (che ha confermato la
sentenza di merito che aveva ritenuto responsabili le Ferrovie dello Stato per
non aver predisposto, negli anni '60, le cautele necessarie a sottrarre il
proprio dipendente al rischio di amianto). Il principio è stato ribadito anche
da Cass. Sez. Lav. n. 18626 del 05.08.2013, secondo la quale la responsabilità
dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ. non configura un'ipotesi di
responsabilità oggettiva, ma non è circoscritta alla violazione di regole
d'esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, essendo sanzionata
dalla norma l'omessa predisposizione di tutte le misure e cautele atte a
preservare l'integrità psicofisica del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto
conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di
indagare sull'esistenza di fattori di rischio in un determinato momento
storico. Pertanto, qualora sia accertato che il danno è stato causato dalla
nocività dell'attività lavorativa per esposizione all'amianto, è onere del
datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica
disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela
della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di
insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto
di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all'introduzione di specifiche
norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle
contenute nel d.lgs. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal
d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81. La sentenza impugnata si è conformata a tali
principi, rilevando che il rischio di esposizione all'amianto era noto
all'epoca dei fatti, come dimostrato sia dall'esistenza sin dall'inizio degli
anni '80 di varie direttive comunitarie in materia, sia dalla stessa decisione
aziendale concordata con i sindacati di verificare in generale l'esposizione al
materiale nelle cabine di guida sin dal 1989 (restando per converso irrilevante
l'esito negativo di tali accertamenti, in difetto di prova della riferibilità
ai locomotori condotti specificamente dal ricorrente). A fronte di tale
situazione, il dovere del datore di lavoro era di escludere comunque
l'esposizione alla sostanza pericolosa, anche se ciò avesse imposto l'adozione
di interventi drastici fino alla stessa modifica dell'attività dei lavoratori,
assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali
tecnopatie. Può dunque affermarsi il seguente principio di diritto: in tema di
sicurezza sul lavoro, qualora sia
accertato che il danno è stato causato dalla nocività dell'attività lavorativa
per esposizione all'amianto, è onere del datore di lavoro provare di avere
adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure
generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio
espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia,
escludendo l'esposizione alla sostanza pericolosa, anche se ciò imponga la
modifica dell'attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio
carico il rischio di eventuali tecnopatie."
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