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Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024
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L'AZIENDA NON PUO' RICHIEDERE AL GIUDICE L'ACCERTAMENTO DELLA LEGITTIMITA' DI UN LICENZIAMENTO PRIMA DI INTIMARLO - Non è consentita una valutazione preventiva (Cassazione Sezione Lavoro n. 14756 del 30 giugno 2014, Pres. Roselli, Rel. Venuti).
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Con ricorso depositato al Tribunale di Firenze la
S.p.A. Nuovo Pignone esponeva che numerosi lavoratori avevano presentato in
Procura un esposto con il quale erano stati evidenziati fatti penalmente
rilevanti a carico della società e dei suoi amministratori per fraudolento
ottenimento e utilizzazione della cigs, con ampia diffusione della notizia
presso l'opinione pubblica e con conseguente discredito e pregiudizio
all'immagine e alla reputazione della società. Aggiungeva che, dopo le indagini
eseguite dal P.M., il procedimento si era concluso con provvedimento di
archiviazione del Giudice per le indagini preliminari. Ciò premesso, la società
proponeva ricorso al Tribunale di Firenze per sentir dichiarare che il
comportamento tenuto dai lavoratori, consistito nell'avere presentato detto
esposto infondato, costituiva notevole inadempimento dei doveri di lealtà e
fedeltà verso il datore di lavoro e si configurava quale motivo soggettivo di
licenziamento disciplinare. Il Tribunale adito respingeva il ricorso per
carenza di interesse ad agire della ricorrente e tale decisione veniva
confermata dalla Corte d'Appello di
Firenze, con sentenza depositata il 31 marzo 2007, la quale riteneva che il
giudice adito non poteva valutare, in via preventiva, la condotta dei
lavoratori al fine di giustificare un successivo licenziamento; che l'azione
proposta dalla società finiva per delegare all'autorità giudiziaria la "scelta"
dell'esercizio del potere disciplinare; che la domanda non era giustificata da
una esigenza di certezza giuridica, atteso che l'esito negativo della stessa
lasciava tra le parti del rapporto le "cose" assolutamente allo stesso punto in
cui erano prima dell'adizione del Giudice, in ragione del fatto che
l'incertezza circa gli esiti concreti del rapporto veniva sciolta a seguito
della successiva determinazione assolutamente discrezionale del datore di
lavoro; che non era consentito alla parte chiedere sostanzialmente un "parere
giuridico" prima di intraprendere l'azione giudiziaria. Avverso tale decisione
la S.p.A. Nuova Pignone ha proposto ricorso per cassazione, censurandola per
vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 14756 del 30
giugno 2014, Pres. Roselli, Rel. Venuti) ha rigettato il ricorso. La
giurisprudenza di legittimità - ha ricordato la Corte - ritiene ammissibile
l'azione di mero accertamento della legittimità di un licenziamento, già
intimato, proposta dal datore di lavoro, sul rilievo che l'interesse ad agire
sussiste ogni qualvolta ricorra una pregiudizievole situazione d'incertezza
relativa a diritti o rapporti giuridici, la quale, anche con riguardo ai
rapporti di lavoro subordinato, non sia eliminabile senza l'intervento del
giudice; né è configurabile, in questo caso, un abuso dello strumento
processuale da parte del datore di lavoro, in considerazione della sussistenza
di un interesse ad agire degno di tutela. Diversa è l'ipotesi - ha rilevato la
Corte - in cui l'azione di accertamento viene proposta, in via preventiva, al
fine di verificare se il comportamento tenuto dal lavoratore sia talmente grave
da ledere l'elemento fiduciario che sta alla base del rapporto di lavoro e,
conseguentemente, idoneo a giustificare il licenziamento; invero l'interesse ad
agire, previsto quale condizione dell'azione dall'art. 100 cod. proc. civ. con
disposizione che consente di distinguere fra le azioni di mera iattanza e
quelle oggettivamente dirette a conseguire il bene della vita consistente nella
rimozione dello stato di giuridica incertezza in ordine alla sussistenza di un
determinato diritto, va identificato in una situazione di carattere oggettivo
derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente in ciò
che senza il processo e l'esercizio della giurisdizione l'attore soffrirebbe un
danno, sicché esso deve avere necessariamente carattere attuale, poiché solo in
tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a
giuridica ed oggettiva consistenza, e resta invece conseguentemente escluso
quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o
accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o
meramente ipotetiche. Poiché la tutela giurisdizionale è tutela di diritti - ha
affermato la Corte - il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per
legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in
giudizio e non di per sé, per gli effetti possibili e futuri. Pertanto non sono
proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente
rilevanti ma che costituiscano elementi frazionistici della fattispecie
costitutiva di un diritto, la quale può costituire oggetto di accertamento giudiziario
solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza.
Parimenti non sono ammissibili questioni di interpretazione di norme o di atti
contrattuali se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla
domanda principale di tutela del diritto. Alla stregua di tali principi - ha
osservato la Cassazione - correttamente la Corte di merito ha ritenuto che la
domanda proposta dalla società non era giustificata da una esigenza di certezza
giuridica, atteso che l'esito del giudizio non risolveva la questione
controversa, essendo rimessa alla successiva determinazione assolutamente
discrezionale del datore di lavoro l'eventualità di promuovere un successivo
giudizio.
Deve aggiungersi, sotto altro profilo - ha rilevato
la Corte - che nella fattispecie in esame il chiesto intervento preventivo del
giudice circa la legittimità di un eventuale futuro licenziamento sovverte le
regole procedimentali di cui all'art. 7 St. Lav.; ai lavoratori non viene,
infatti, contestato alcun addebito disciplinare dal quale devono difendersi né
viene loro data la possibilità di essere sentiti a discolpa. Inoltre, una
successiva eventuale contestazione degli addebiti viene rinviata all'esito del
giudizio di accertamento, con palese violazione del principio di immediatezza
della contestazione e di quello della tempestività del recesso datoriale, la
cui ratio riflette l'esigenza di osservare le regole di buona
fede e correttezza nell'attuazione del rapporto di lavoro non procrastinando
ingiustificatamente la contestazione, in modo da rendere impossibili o
eccessivamente difficile la difesa da parte del lavoratore.
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