Legge e giustizia: mercoledì 08 maggio 2024

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LE REGOLE SULLA RESPONSABILITA' DEL GIORNALISTA PER AVER RIPORTATO AFFERMAZIONI DI ALTRI - Interesse pubblico e terzietà (Cassazione Sezione Terza Civile n. 19152 dell'11 settembre 2014, Pres. Amatucci, Rel. Rossetti).

Con atto notificato il 10.5.2001 Silvio B. convenne dinanzi al Tribunale di Roma le società The Economist Newspaper Ltd. e Gruppo Editoriale L'Espresso s.p.a., allegando che: le società convenute erano editrici, rispettivamente, dei quotidiani "The Economist" e "La Repubblica"; il 26.4.2011 il quotidiano The Economist aveva pubblicato un articolo dal titolo "An italian story", dal contenuto diffamatorio per esso attore, del quale si mettevano in dubbio l'onesta e la trasparenza; tale scritto era stato ripreso e divulgato da quotidiano La Repubblica il giorno successivo (27.4.2001), in un articolo dal titolo "L'Economist e il Cavaliere - Perché non può governare"; la pubblicazione dei due articoli avvenne in concomitanza con lo svolgimento della campagna elettorale per le elezioni politiche del 2001, nelle quali esso attore era candidato. Concluse pertanto chiedendo la condanna delle convenute al risarcimento del danno. Con sentenza 21.11.2003 n. 28206 il Tribunale di Roma dichiarò la propria incompetenza per territorio in merito alla domanda formulata nei confronti della The Economist Newspapere Ltd., e rigettò quella formulata nei confronti della Gruppo Editoriale L'Espresso s.p.a.. La sentenza, impugnata dal soccombente limitatamente al rigetto della domanda nei confronti della Gruppo Editoriale L'Espresso, venne confermata dalla Corte d'Appello di Roma con sentenza 9.10.2007 n. 3983. La Corte d'Appello ha motivato la propria decisione affermando che la pubblicazione dell'articolo "L'Economist e il Cavaliere - Perché non può governare" sul quotidiano La Repubblica costituì legittimo esercizio del diritto di cronaca e di critica. Avverso tale decisione Silvio B. ha proposto ricorso per cassazione.

La Suprema Corte (Terza Civile n. 19152 dell'11 settembre 2014, Pres. Amatucci, Rel. Rossetti) ha rigettato il ricorso. Il motivo è infondato. Il ricorso - ha affermato la Corte - pone il tema dei presupposti e dei limiti della responsabilità del giornalista e dell'editore, nel caso di diffusione di notizie consistenti in fatti od opinioni riferiti da altri (c.d. "responsabilità del diffusore mediatico"). Su questo tema, dopo vari contrasti negli passati, la giurisprudenza di legittimità si è da tempo consolidata stabilendo al riguardo tre regole fondamentali.

La prima regola è che il giornalista il quale riporti dichiarazioni altrui (come nel caso dell'intervistatore; ovvero dell'articolo che dia conto di deposizioni testimoniali o rese in ambito giudiziario; od ancora - come nel caso di specie - dell'articolo che riferisca di scritti altrui) non è esonerato né dal dovere di evitare la contumelia, né da quello di verificare se, al momento in cui ne dà contezza ai lettori, i fatti riferiti dal terzo e ripresi dal giornalista appaiano plausibilmente veri. Non è, in altri termini, esonerato dal dovere di rispettare la c.d., verità putativa dei fatti. Tale dovere di verifica è tanto più doveroso, quanto maggiore è la gravità dei fatti riferiti.

La seconda regola è un'eccezione alla prima: quando riferisce opinioni e dichiarazioni di terzi, il giornalista è esonerato sia dal dovere di verificare la verità putativa dei fatti riferiti, sia di evitare di riferire espressioni oltraggiose, quando sussista un interesse dell'opinione pubblica a conoscere, prima ancora dei fatti narrati, la circostanza che un terzo li abbia riferiti. Quando, infatti, ricorre il suddetto interesse pubblico, questo deve prevalere, in quanto tutelato dall'art. 21 cost., sull'interesse del singolo all'integrità del proprio onore e della propria reputazione.

Questo interesse deve essere valutato caso per caso dal giudice di merito, tenendo conto della qualità dei soggetti coinvolti (il terzo che compie la dichiarazione e la persona diffamata), della materia in discussione e del contesto della notizia. Pertanto il giornalista che riferisca opinioni o dichiarazioni di terzi è esonerato da responsabilità per diffamazione, quando la dichiarazione del terzo costituisca di per sé stessa un "fatto" così rilevante nella vita pubblica che la stampa verrebbe meno al suo compito informativo se lo tacesse.

La terza regola è una eccezione alla eccezione (che fa quindi risorgere il principio generale): quando il giornalista riporti dichiarazioni di terzi di rilevante interesse pubblico, egli è sempre tenuto a rendere ben chiaro al lettore che sta riferendo opinioni o dichiarazioni di terzi, e non verità oggettive. Chi riferisce opinioni altrui deve quindi astenersi dal ricorrere ad accostamenti suggestivi o capziosi, tali da indurre in errore il lettore e fargli percepire come veritieri i fatti dichiarati da terzi. In quest'ultima ipotesi, infatti, il giornalista dismetterebbe la veste di terzo osservatore dei fatti, per divenire un diffamatore dissimulato. Tutte e tre queste regole sono state rispettate dalla Corte d'appello. Sono state rispettate le prime due, perché la pubblicazione dell'articolo da parte di The Economist per la fonte da cui proveniva, e per i contenuti che aveva, costituiva una notizia di indubbio interesse generale. Il giornalista che ha diffuso la notizia in Italia, pertanto, era esonerato dal verificare la verità oggettiva dei fatti narrati dal quotidiano britannico. E' stata, altresì, rispettata la terza, perché il giudice di merito - con valutazione non sindacabile in questa sede - ha ritenuto rispettato dal giornalista italiano il dovere di terzietà e non decettività, consistente nel non presentare le opinioni altrui come fatti oggettivi.


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