|
Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024
|
SUBORDINAZIONE DELLA TERMINALISTA ADDETTA A UN'AGENZIA DI SCOMMESSE - Prestazione ripetitiva (Cassazione Sezione Lavoro n. 20367 del 26 settembre 2014, Pres. Macioce, Rel. Berrino).
|
Maria
D. ha lavorato presso l'Agenzia Ippica del Centro s.r.l. come terminalista
addetta alla ricezione delle scommesse senza essere inquadrata come lavoratrice
subordinata. L'azienda ha posto termine al rapporto con comunicazione orale.
Ella ha chiesto al Tribunale di Palermo di accertare l'esistenza di un rapporto
di lavoro subordinato e di dichiarare inefficace il licenziamento. L'azienda si
è difesa sostenendo che l'impiegata aveva lavorato senza vincoli di
subordinazione. Svolta l'istruttoria, il Tribunale ha accolto la domanda.
Questa decisione è stata confermata, in grado d'appello, dalla Corte di
Palermo. L'azienda ha proposto ricorso
per cassazione sostenendo che era mancata la prova del requisito della
subordinazione in quanto i testi escussi avevano riferito che l'impiegata
svolgeva la sua prestazione secondo turni che ella stessa concordava con gli
altri operatori autonomi che lavoravamo nell'agenzia e che poteva assentarsi
semplicemente comunicando al preposto la sua indisponibilità.
La
Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 20367 del 26 settembre 2014, Pres. Macioce,
Rel. Berrino) ha rigettato il ricorso; ricordando la sua pronuncia secondo cui
l'esistenza del vincolo va concretamente apprezzata con riguardo alla
specificità dell'incarico conferito; d'altronde, proprio in relazione alle
difficoltà che non di rado si incontrano nella distinzione tra rapporto di
lavoro autonomo e subordinato alla luce dei principi fondamentali ora indicati,
si è asserito che in tale ipotesi è legittimo ricorrere a criteri distintivi
sussidiari, quali la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale
ovvero l'incidenza del rischio economico, l'osservanza di un orario, la forma
di retribuzione, la continuità delle prestazioni e via di seguito. E' stata di
conseguenza enucleata la regula iuris
- ha ricordato la Cassazione - secondo la quale, nel caso in cui la prestazione
dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predetermina nelle
sue modalità di esecuzione, oppure, all'opposto, nel caso di prestazioni
lavorative dotate di notevole elevatezza e di contenuto intellettuale e
creativo, al fine della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e
subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore
all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare può non
risultare, in quel particolare contesto, significativo per la qualificazione
del rapporto di lavoro, ed occorre allora far ricorso a criteri distintivi
sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di
erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza
di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al
soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di
un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore. A tali principi
- ha osservato la Cassazione - la Corte del merito si è attenuta in quanto,
sulla premessa che la lavoratrice in causa era addetta a mansioni ripetitive e
che tali mansioni, una volta ricevute le istruzioni iniziali, non richiedevano
ulteriori direttive e controlli, ha dato rilievo, ai fini di cui trattasi, alle
risultanze istruttorie delle quali emergeva che: i turni settimanali erano
predisposti dalla società, ancorché sulla scorta delle disponibilità
inizialmente manifestate dal prestatore di lavoro; una volta predisposti i
turni la lavoratrice era tenuta a rispettarli e non poteva allontanarsi senza essere autorizzata;
in caso d'indisponibilità la lavoratrice doveva avvertire preventivamente il
preposto; il lavoro veniva svolto nei locali dell'agenzia con l'uso di beni
aziendali secondo orari predeterminati; il compenso corrisposto era fisso,
senza che vi fosse alcun riferimento al risultato della prestazione; non vi era
alcun rischio economico da parte della lavoratrice. E', quindi, corretta - ha
concluso la Cassazione - l'affermazione della Corte del merito secondo la quale
il rapporto era connotato dal requisito della subordinazione, intesa come
sottoposizione della lavoratrice al potere organizzativo, di controllo e,
all'occorrenza, disciplinare da parte del datore di lavoro non ravvisandosi,
peraltro, nelle modalità delle prestazioni lavorative; come sopra effettuate,
margini di autonomia. Né, vale la pena di sottolinearlo, il mancato esercizio
del potere disciplinare è indice di per sé di assenza di potere disciplinare.
© 2007 www.legge-e-giustizia.it |
|