Legge e giustizia: mercoledì 24 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

IL DIRETTORE DI UNA CARICA STATUTARIA PUO' ESSERE RITENUTO DIPENDENTE DELL'ENTE - Con mansioni dirigenziali (Cassazione Sezione Lavoro n. 18476 del 1 settembre 2014, Pres. Miani Canevari, Rel. Ghinoy).

Corrado P. ha lavorato come direttore della Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Egli ha chiesto al Tribunale di Torino di accertare l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di natura dirigenziale. La Fondazione si è difesa rilevando che la carica di direttore era prevista dal suo Statuto come funzione istituzionale e comportava l'esercizio di ampie deleghe con una totale immedesimazione negli scopi e nell'attività dell'ente, onde doveva escludersi la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato. Il Tribunale ha accolto la domanda e la sua decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Torino. La Fondazione ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza impugnata per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18476 del 1 settembre 2014, Pres. Miani Canevari, Rel. Ghinoy), ha rigettato il ricorso. Non è contestato in causa, ed anzi costituisce il presupposto della valutazione operata dalla Corte d'Appello - ha osservato la Cassazione - che Corrado P. fosse il direttore della Fondazione, ovvero uno degli organi dell'ente previsti dallo Statuto; l'articolo 10 dello Statuto, riportato nella premessa del ricorso, dispone in proposito che "Il Direttore è  nominato dal Consiglio direttivo, su proposta del Presidente, con incarico professionale quadriennale rinnovabile e revocabile, in base ai requisiti di cultura, esperienza e capacità lavorativa; il trattamento economico e la posizione giuridica e normativa del Direttore vengono stabiliti con apposita deliberazione del Consiglio direttivo; il Direttore ha la responsabilità dell'organizzazione e del funzionamento della Fondazione per la scuola e sovrintende alla gestione del personale". Peraltro - ha osservato la Corte - l'essere organo di una persona giuridica di per sé non osta alla possibilità di configurare tra la persona giuridica stessa ed il suddetto organo un rapporto di lavoro subordinato, quando di tale rapporto sussistano le caratteristiche dell'assoggettamento, nonostante la suddetta carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione dell'ente.

L'unica situazione che preclude la coesistenza della duplice veste è infatti quella dell'amministratore unico di società, attesa l'incompatibilità che sussiste tra la qualità di esecutore subordinato della volontà sociale e quella di organo competente ad esprimere tale volontà. Nell'individuare un rapporto di lavoro subordinato fra colui che ha rivestito cariche sociali di una società di capitali e la società stessa, è necessario che colui che intende far valere tale tipo di rapporto fornisca la prova della sussistenza del vincolo di subordinazione e cioè  l'assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società nel suo complesso, nonostante le suddette cariche sociali. Anche nel caso di lavoro dirigenziale, come in genere per le prestazioni lavorative che abbiano particolari caratteristiche (per la loro natura creativa, intellettuale, professionale o, per l'appunto, dirigenziale) che non si prestino ad essere eseguite sotto la direzione del datore di lavoro o con una continuità regolare anche negli orari - ha rilevato la Corte - il parametro distintivo della subordinazione deve essere necessariamente valutato o escluso mediante il ricorso ai criteri c.d. complementari o sussidiari, quali, ad esempio, la periodicità e predeterminazione della retribuzione, il coordinamento dell'attività lavorativa all'assetto organizzativo del datore di lavoro, l'assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale e l'assenza di rischio in capo al lavoratore. Peraltro l'accertamento, in concreto, dei suddetti elementi tipici, così come quello della compatibilità dei diritti e doveri nascenti da un rapporto di lavoro subordinato con le funzioni attribuite, costituiscono un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici.

Tali principi possono essere estesi anche alla prestazione svolta dal direttore della Fondazione, organo della stessa incardinato nella struttura necessaria per la realizzazione degli scopi dell'ente e per il suo funzionamento, e ciò tanto più considerando che la stessa configurazione dei suoi compiti e dei suoi poteri dipendevano dalle previsioni dello Statuto della Fondazione e dal contratto tra e parti. Correttamente quindi la Corte di merito ha esaminato le modalità di realizzazione della prestazione del direttore - ha osservato la Cassazione - al fine di verificare se le parti avessero effettivamente voluto porre in essere  un contratto di lavoro subordinato ovvero autonomo; in tal senso, quindi, ha valorizzato il principio di effettività cui occorre avere riguardo nell'individuazione della natura del rapporto, che importa che il nomen iuris utilizzato, così come le modalità con le quali il rapporto è stato formalizzato, costituiscono solo uno degli elementi ai quali occorre fare riferimento, nella valutazione complessiva della situazione contestuale e successiva alla stipulazione del contratto finalizzata ad accertare l'oggetto effettivo della prestazione convenuta. Deve quindi ribadirsi il principio che, sia allorquando le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, abbiano simulatamente dichiarato di volere un diverso rapporto lavorativo al fine di eludere la disciplina legale inderogabile in materia, sia nel caso in cui l'espressione verbale abbia tradito la vera intenzione delle parti, sia infine nell'ipotesi in cui, dopo avere voluto realmente il contratto di lavoro autonomo, durante lo svolgimento del rapporto le parti stesse, attraverso fatti concludenti, mostrino di aver mutato intenzione e di essere passate ad un effettivo assetto di interessi corrispondente a quello della subordinazione, il giudice di merito, cui compete di dare l'esatta qualificazione giuridica del rapporto, deve attribuire valore prevalente al comportamento tenuto dalle parti nell'attuazione del rapporto stesso.

Tale conclusione deriva dal principio che è stato chiamato dell'"indisponibilità del tipo contrattuale", più volte affermato dalla Corte costituzionale, ad avviso della quale "... non è consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l'inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall'ordinamento ..." e "... a maggior ragione non sarebbe consentito al legislatore di autorizzare le parti ad escludere, direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l'applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei lavoratori a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto subordinato". Non rileva in senso ostativo che la prestazione del direttore abbia avuto ad oggetto lo svolgimento dei compiti inerenti la funzione che egli ha svolto e che gli è stata attribuita nella qualità di organo della Fondazione, dal momento che l'oggetto della causa atteneva proprio alla qualificazione giuridica di quella prestazione. Le motivazioni esplicitate dalla Corte d'Appello a sostegno del risultato raggiunto - ha affermato la Cassazione - appaiono peraltro coerenti con le differenze fondamentali che intercorrono tra il rapporto di lavoro subordinato e quello autonomo quando la prestazione abbia ad oggetto l'esercizio di una prestazione di natura dirigenziale. Nel caso infatti la Corte d'Appello ha ritenuto che l'assoluta centralità ed indispensabilità della funzione rispetto all'attività dell'ente, l'inserimento pieno ed esclusivo nella struttura gerarchica e organizzativa della Fondazione, la gestione del personale sul quale esercitava il potere direttivo, l'interazione continua che doveva avere con il segretario Dott. I., dipendente della Compagnia di San Paolo in distacco, la necessità di relazionare in ordine ai progetti e le possibili linee di sviluppo al Consiglio direttivo, l'imputazione alla Fondazione dei risultati e dei rischi dell'attività, la continuità ed l'esclusività della prestazione resa, l'assenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale da parte di Corrado P., tutto ciò manifestasse che alla prestazione non poteva adattarsi il paradigma dell'articolo 2222 del codice civile, non potendo identificarsi in un'opera o un servizio, ma nella conduzione complessiva dell'attività della Fondazione per la scuola, e quindi nella totale messa a disposizione delle proprie energie lavorative per lo svolgimento di tali funzioni. Nell'ambito delle pattuizioni contrattuali poi altrettanto correttamente la Corte ha valorizzato le espressioni che valevano ad individuare il contenuto della prestazione che avrebbe dovuto essere effettivamente resa da Corrado P., non essendo vincolante la qualificazione giuridica adottata dalle parti. 


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