Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

LE PRESTAZIONI DI LAVORO STRAORDINARIO DEVONO ESSERE CONCORDATE SE NON SONO PREVISTE DAL CONTRATTO COLLETTIVO - Vanno comunque applicate le regole di correttezza (Cassazione Sezione Lavoro n. 17582 del 4 agosto 2014, Pres. Stile, Rel. Venuti).

Il Comune di Zoagli ha disposto nei confronti di una sua dipendente con qualifica di "esecutore amministrativo - messo" che ella fosse presente durante le riunioni del consiglio comunale fissate in ore serali e quindi fuori dal normale orario di lavoro. Poiché la dipendente ha rifiutato la prestazione di lavoro straordinario impostole, il Comune le ha applicato sanzioni disciplinari. La lavoratrice ha chiesto al Tribunale di Genova di dichiarare illegittima la pretesa del Comune e di annullare le sanzioni. Il Tribunale ha rigettato la domanda. Questa decisione è stata integralmente riformata in grado di appello dalla Corte di Genova che ha annullato le sanzioni e ha condannato il Comune, a titolo di risarcitorio, al pagamento della somma di euro 258,22 per spese sostenute dalla lavoratrice per la difesa in sede amministrativa. Il Comune ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Corte genovese per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 17582 del 4 agosto 2014, Pres. Stile, Rel. Venuti) ha rigettato il ricorso. Deve premettersi, ai fini della individuazione della normativa applicabile - ha osservato la Corte - che, come risulta dagli scritti difensivi delle parti, i fatti per cui è controversia sono anteriori al marzo 2000, onde sono inapplicabili le disposizioni successive a tale data. Al riguardo, nulla prevedono i decreti legislativi n. 29 del 1983 e n. 80 del 1998, recanti disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche. Il richiamo fatto dall'art. 2 di entrambi i decreti alle "leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa" ai fini della disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, comporta che anche ai dipendenti degli enti locali deve applicarsi, in materia di orario di lavoro, il R.D. 15 marzo 1923 n. 692, art. 5 bis, nel testo di cui al D.L. 29 settembre 1998 n. 335, convertito, con modificazioni, nella legge 27 novembre 1998 n. 409. Ed infatti, il D.P.R. n. 268 del 1987, che ha recepito la disciplina prevista dagli accordi sindacali per il triennio 1985-1987 relativo al personale per il comparto degli enti locali, prevede, al primo comma, che le prestazioni di lavoro straordinario sono rivolte a fronteggiare situazioni di lavoro eccezionali e non possono essere utilizzate come fatto ordinario di programmazione del tempo di lavoro e di copertura dell'orario di lavoro, mentre il secondo comma stabilisce che la prestazione di lavoro straordinario è disposta sulla base delle esigenze individuate dall'amministrazione, rimanendo esclusa ogni forma generalizzata di autorizzazione. Tali disposizioni - ha affermato la Corte - sono rivolte agli amministratori ed appaiono finalizzate a limitare il ricorso al lavoro straordinario ai fini del contenimento della spesa pubblica. In tal senso deve intendersi il richiamo alle "situazioni di lavoro eccezionali", in mancanza della previsione di un obbligo, per il dipendente, dello svolgimento di lavoro straordinario. Parimenti alcun obbligo per il dipendente è previsto dal CCNL 1994-1997 per il personale del comparto delle regioni e delle autonomie locali, il quale detta disposizioni in materia di ore settimanali di lavoro e di articolazione dell'orario di lavoro, nonché dal successivo CCNL 1998-2001 dello stesso comparto, il quale si limita a dettare previsioni in ordine alle risorse finanziarie utilizzabili per il lavoro straordinario e per il contenimento dello stesso, fissando il limite annuale massimo di 180 ore. Posto dunque che nella specie trova applicazione l'art. 5-bis del R.D. n. 692 del 1923, nel testo in cui all'art. 1 D.L. n. 335 del 1998, convertito, con modificazioni nella legge n. 409 del 1998 - disposizione questa riprodotta dal D.Lgs. 8 aprile 2003 n. 66, art. 5, emanato in attuazione delle direttive CE, non applicabile ratione temporis - deve osservarsi che il predetto art. 5-bis dispone, al secondo comma, che il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto e che, "in assenza di disciplina ad opera dei contratti collettivi nazionali", esso "è ammesso soltanto previo accordo tra datore e prestatore di lavoro". Aggiunge al seconda comma, che il ricorso al lavoro straordinario "è inoltre ammesso, salvo diversa previsione del contratto collettivo", tra l'altro, nei "casi di eccezionali esigenze tecnico-produttive e di impossibilità di fronteggiarle attraverso l'assunzione di altri lavoratori".

Nella specie - ha osservato la Cassazione - la Corte di merito ha accertato che le convocazioni in orario serale erano divenute la regola e non erano quindi dettate da esigenze straordinarie ed occasionali; il rifiuto della dipendente, il cui orario di servizio era dalle ore 7,30 alle 13,30 e che nelle precedenti occasioni aveva assicurato la sua presenza durante le sedute del Consiglio comunale non risultava pertanto illegittimo. Anche nelle ipotesi in cui la contrattazione collettiva prevede la facoltà, per il datore di lavoro, di richiedere prestazioni straordinari - ha affermato la Corte - l'esercizio di tale facoltà deve essere esercitato secondo le regole di correttezza e di buona fede, poste dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nel contenuto determinato dall'art. 41, secondo comma, Cost.


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