Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

COMPENSO INVENZIONE - (Cassazione Sezione Lavoro n. 14371 del 25 giugno 2014, Pres. Lamorgese, Rel. Lorito).

L'art. 23 R.D. n.1127 del 1939, distingue l'ipotesi di cui al primo comma secondo cui, quando l'invenzione "è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, in cui l'attività inventiva è prevista come oggetto del contratto o del rapporto e a tale scopo retribuita, i diritti derivanti dall'invenzione stessa appartengono al datore di lavoro" (la cd. invenzione di servizio), da quella di cui al secondo comma, in base al quale "se non è prevista una retribuzione in compenso della attività inventiva, e l'invenzione è fatta nell'esecuzione o nell'adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o d'impiego, i diritti derivanti dall'invenzione appartengono al datore di lavoro, ma all'inventore ... spetta un equo premio per la determinazione del quale si terrà conto della importanza dell'invenzione" (cd. "invenzione d'azienda"). La norma si spiega considerando che l'invenzione è realizzata dal dipendente nell'ambito di strutture organizzate dal datore di lavoro e quindi si impone l'esigenza di contemperare due distinti interessi: quello del lavoratore che deve conseguire un concreto riconoscimento del proprio apporto e quello dell'imprenditore volto ad acquisire i risultati di impegni organizzativi e di investimenti economici anche di rilevante entità. Si comprende quindi che, per attuare tale contemperamento, al diritto riconosciuto al datore di lavoro di trarre profitto dall'invenzione (art. 1 r.d. n.1127 del 1939) deve corrispondere un sicuro vantaggio per il lavoratore, che si esplica o con l'erogazione di una specifica retribuzione o con l'erogazione di un equo premio, istituti che, pur essendo distinti e diversi hanno entrambi la funzione esclusiva di compensare il risultato inventivo conseguito. Detto vantaggio può essere già stato previsto dalle parti; ed infatti ove queste si accordino nel senso che oggetto dalla prestazione lavorativa è l'invenzione, la retribuzione pattuita sarà necessariamente compensativa dell'invenzione. In tal caso, il risultato inventivo potrà esservi o meno, ma, laddove si verifichi, la retribuzione stabilita vale già a compensarlo, perché è sinallagmatica di tutte le utilità che potranno scaturire, dal momento che in tal senso si è espressa la volontà dalle parti, onde non vi è spazio per l'ulteriore compenso costituito dall'equo premio. Diversamente, nell'ipotesi della cd. invenzione d'azienda, la prestazione del dipendente non consiste nel perseguimento di un risultato inventivo, sicché il conseguimento di questo non rientra nell'oggetto dell'attività dovuta, anche se resta pur sempre collegata a questa stessa attività. Questa Corte, in numerose pronunce, in coerenza con la prevalente opinione dottrinaria formatasi sul tema dibattuto, ha rimarcato che, a parte l'ammissibilità, in via di principio, di forme o comunque di voci o componenti retributive legate al risultato, la previsione dell'art. 23, comma 1 rispetto a quella del comma 2, va individuata proprio nel fatto che oggetto del contratto sia l'attività inventiva, cioè il particolare impegno per raggiungere un risultato prefigurato dalle parti, dotato dei requisiti della brevettabilità stabiliti dalla legge, e che, a tale scopo sia prevista una retribuzione. Si è, tuttavia, anche evidenziato come sia compito del giudice di merito quello di accertare - sulla base della interpretazione del contratto basata sui criteri dettati dall'art. 1362 c.c. - se le parti hanno voluto in effetti pattuire una retribuzione che, sia pure in parte, si collochi come corrispettivo dell'obbligo del dipendente di svolgere un'attività inventiva.  Sul piano delle modalità di svolgimento della attività esegetica, questa Corte ha pure sottolineato che l'indagine volta ad accertare l'effettivo dispiegarsi della volontà delle parti, non può operare "ex post", quando l'invenzione è stata conseguita, perché con questo criterio si dovrebbe considerare pattuita l'attività inventiva in tutti i casi in cui la prestazione lavorativa abbia dato luogo, comunque, ad un'invenzione, ma secondo un criterio "ex ante", sull'effettivo intendimento delle parti, non assumendo al riguardo rilievo la maggiore o minore probabilità che dall'attività lavorativa pattuita, scaturisca l'invenzione, di tal che, ogniqualvolta sia probabile quel risultato, si dovrebbe automaticamente considerare come rientrante nella previsione contrattuale. Nell'ottica descritta si impone l'evidenza della erroneità della prospettiva tracciata dal ricorrente, atteso che i principi cui l'attività ermeneutica in ordine alla definizione dell'assetto negoziale deve essere improntata, secondo un criterio "ex ante" e non "ex post", nella opinione della Corte, erano riferiti al rilievo che la maggiore o minore probabilità che dall'attività lavorativa pattuita scaturisse l'invenzione doveva assumere nella ricostruzione dell'intento delle parti, escludendosi che si potesse indagare sulla volontà delle stesse, "ex post", quando l'invenzione era stata realizzata. Certamente i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, oggetto di richiamo da parte ricorrente, non erano in contrasto, ma presentavano perfetta coerenza con quelli, parimenti consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nell'attività di interpretazione del contratto il giudice di merito può limitarsi a ricercare la comune intenzione delle parti sulla base del tenore letterale della disposizione da interpretare, solo se questo riveli l'intenzione delle parti con evidenza tale da non lasciare alcuna perplessità sull'effettiva portata della clausola, dovendo far ricorso, in caso contrario, alla valutazione del comportamento successivo delle parti nell'applicazione della clausola stessa ed alla considerazione di tutti gli altri criteri ermeneutici indicati dagli artt.1362 e seguenti c.c. Deve quindi ritenersi del tutto ineccepibile 1'impianto dell'interpretazione logico sistematica relativa all'assetto negoziale inter partes, come definito dalla Corte di merito che, muovendo proprio dal dato letterale del contratto, ha osservato come la stessa cospicua entità del trattamento economico complessivo riconosciuto al F., risultasse giustificata proprio in ragione dell'oggetto della prestazione consistente nello sviluppo di nuovi prodotti e/o applicazioni attraverso l'innovazione dei cicli e tecnologia di processo, e nella ideazione e progettazione di prodotti o cicli di fabbricazione complessi, come definito dall'O.S. n. 22 del 7/10/96 (di poco successivo al contratto di assunzione), di guisa che doveva la relativa pattuizione ritenersi ancorata proprio al particolare impegno richiesto al dirigente, in quanto diretto ad un risultato creativo.       


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