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Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024
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LA DISDETTA DI UN CONTRATTO COLLETTIVO NON CONSENTE DI SOPPRIMERE ELEMENTI DELLA NORMALE RETRIBUZIONE - In base all'art. 2103 c.c. (Tribunale di Venezia, Giudice Dott.ssa Anna Menegazzo, sentenza del 30 maggio 2014, R.G.n. 2304/2013).
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Un'azienda veneta del settore metalmeccanico ha
disdetto nel marzo 2012 gli accordi normativi ed economici in precedenza
conclusi con CGIL, CISL e UIL, costitutivi, tra l'altro, delle voci retributive
"premio di produzione", "assegni non assorbibile", "III elemento" e
"quattordicesima mensilità". Essa ha concluso, solo con la FIM CISL, nuovi
accordi non recanti tali voci retributive. Un gruppo di lavoratori ha chiesto
al Tribunale di Venezia di dichiarare illegittima la disdetta degli accordi e
comunque di affermare il loro diritto di continuare a percepire le predette
voci retributive con condanna dell'azienda al pagamento di quanto non
corrisposto per le medesime. L'azienda si è difesa sostenendo la legittimità
delle disdette degli accordi e della soppressione delle relative voci
retributive.
Il Tribunale di Venezia, Giudice Dott.ssa Anna
Menegazzo, (con sentenza pronunciata il 30 maggio 2013 e successivamente
depositata, nella causa R.G. n. 2304/2013) ha dichiarato il diritto al
mantenimento in capo ai lavoratori delle voci retributive premio di produzione,
assegno non assorbibile, III elemento e quattordicesima mensilità ed ha
condannato l'azienda al pagamento delle conseguenti differenze retributive. Il
Giudice ha fondato la sua decisione sul principio della irriducibilità della
retribuzione, affermando, tra l'altro, quanto segue:
"I ricorrenti lamentano la riduzione della
retribuzione disposta nei loro confronti sotto il profilo della violazione del
principio dell'intangibilità della retribuzione, ricavato dal disposto
dell'art. 36 Cost. e dell'art. 2103 c.c.. In effetti in relazione al venir meno
nei loro confronti della corresponsione delle somme fino a quel momento versate
a titolo di "premio di produzione", "assegno non assorbibile", e "III
elemento", nonché della 14esima mensilità, reputa il giudicante che la condotta
di P. sia illegittima. Si ribadisce che
la questione non è se la contrattazione aziendale possa essere disdetta - il
che va ammesso sia per i contratti aventi scadenza che per quelli privi di
scadenza -dovendo valutarsi, invece, se e come la disdetta possa incidere in
relazione ai rapporti di lavoro in essere. La giurisprudenza, anche di
legittimità, ha affrontato in talune occasioni la questione ed individuato
alcuni limiti, per cui si è ritenuto che il superamento della contrattazione
precedente non possa intervenire su situazioni ormai consolidate e su diritti
soggettivi già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore. Si pensi, ad
esempio, alla stipulazione di nuovi accordi sindacali che incidano
riduttivamente sul corrispettivo di prestazioni già svolte, ovvero sul TFR già
maturato. Analoga soluzione vale peraltro, ad avviso del giudicante, anche per
modifiche incidenti sull'ammontare della retribuzione dovuta, dovendo anche in
questo caso ritenersi consolidato il diritto al mantenimento della stessa in
capo al dipendente per effetto di quanto previsto dal disposto dell'art. 2103
c.c., norma la quale prevede che il lavoratore debba essere adibito alle
mansioni di assunzione o comunque a mansioni almeno equivalenti, senza alcuna
diminuzione della retribuzione. Ma se, a fronte di un mutamento di mansioni,
non ci può essere una riduzione della retribuzione - neppure nell'accordo tra
le parti cfr. l'ultimo comma dell'art. 2103 c.c. - tanto più una riduzione non
potrà avvenire laddove, come nel caso di specie, le mansioni siano rimaste
inalterate, soprattutto per effetto di una decisione unilaterale quale è stata
la disdetta datoriale nella vicenda odierna. Ciò, anche se - come nel caso di
specie - siano rispettati i cd. minimi costituzionali ricavabili dalla
contrattazione collettiva nazionale, quali parametri di riferimento per la
verifica dell'eventuale violazione del disposto di cui all'art. 36 Cost.. Né
convince l'argomentazione della convenuta per cui la norma di cui all'art. 2013
c.c. detterebbe solamente dei limiti allo jus variandi del datore di lavoro in
tema di mutamento di mansioni, perché altrimenti non avrebbe avuto ragione di
porsi l'indicazione del diritto al mantenimento della retribuzione in capo al
lavoratore; la norma, in sostanza, esplicita il diritto del lavoratore alla
conservazione della retribuzione anche a fronte del cambio di mansioni,
sottintendendo la sua valenza per il caso di mantenimento delle stesse. Nel
senso della valenza del principio di irriducibilità della retribuzione -
ricavato dal disposto degli artt. 36 Cost. e 2103 c.c. - anche a fronte di
modifiche della contrattazione collettiva di riferimento si è espressa anche la
giurisprudenza di legittimità, non solo con la pronuncia citata da parte
ricorrente Cass. 23614/10, secondo cui "il fatto che una delle parti abbia
receduto unilateralmente da un precedente accordo non può valere a legittimare
il mancato adempimento delle obbligazioni che derivano appunto dall'accordo
stesso. Il criterio secondo cui le obbligazioni, di regola, non possono avere
carattere perpetuo, può valere per le obbligazioni poste a carico di una sola
parte, non per quelle che, all'interno di un rapporto contrattuale
sinallagmatico di carattere continuativo, si contrappongono ad altre
obbligazioni a carico di una altra parte e trovano in esse la propria causa
giustificativa, e che, se non è prevista espressamente una scadenza, permangono
fino a quando la controparte contrattuale provveda a dare esecuzione alle
obbligazioni a proprio carico. E' quanto avviene appunto nei rapporti di
lavoro. Le erogazioni da parte del datore di lavoro trovano la loro causa nelle
prestazioni lavorative dei dipendenti, intesi sia come singoli che come
collettività, e a loro volta queste prestazioni trovano la loro causa
giustificativa nelle erogazioni a carico del datore. Tra le erogazioni a carico
del datore rientrano tutte le somme di denaro, a qualsiasi titolo anche diverso
dallo stipendio di base e delle voci previste dalla contrattazione collettiva,
corrisponde ai dipendenti in maniera stabile e continuativa. Il datore di
lavoro, perciò, non può recedere unilateralmente, senza un accordo preventivo,
dall'obbligo a suo carico di corrisponderle. Cessare quelle erogazioni integra,
quando non abbia una specifica giustificazione di carattere giuridico (e non
semplicemente di natura economica) una forma di inadempimento contrattuale, che
può essere, secondo i casi, totale o parziale". La già citata Cass. 24268/13,
nel ritenere illegittima la soppressione - conseguente alla disdetta del
contratto collettivo che l'aveva previsto - del beneficio della fruizione a
tariffa agevolata del gas per i pensionati di azienda erogatrice del servizio
in questione, ha motivato ciò sul rilievo che si trattasse di un "diritto
avente natura retributiva, entrato a far parte a pieno titolo del sinallagma
genetico del rapporto e di conseguenza del patrimonio individuale di ogni
singolo lavoratore e quindi insuscettibile di essere revocato". Similmente,
l'irretrattabilità della retribuzione anche a fronte di mutamenti
contrattual-collettivi viene affermata anche da Cass. 20310/08 (in linea con le
precedenti Cass. 20339/06 e Cass. 4821/07, con principio confermato anche di
recente nell'ordinanza Cass., 11330/14), addirittura con riferimento ad
indennità compensative di particolari e gravosi modi di svolgimento del lavoro:
"Il principio della irriducibilità della retribuzione, che si può desumere dagli
articoli 2103 cod. civ. e 36 Cost., ossia dal divieto di assegnazione a
mansioni inferiori e dalla necessaria proporzione tra l'ammontare della
retribuzione e la qualità e quantità del lavoro prestato, si estende alle
indennità compensative di particolari e gravosi modi di svolgimento del lavoro,
nel senso che quella voce retributiva può essere soppressa ove vengano meno
quei modi di svolgimento della prestazione, ma deve essere conservata in caso
contrario. Ne consegue che l'impegno, assunto con accordo collettivo, di
rivedere l'ammontare della speciale voce retributiva entro un certo termine,
comporta che alla scadenza di questo, non seguita dall'abolizione di quella
prestazione, la indennità deve essere conservata, eventualmente nel suo
ammontare attuale, ex art. 36 Cost., qualora il datore abbia disdetto
l'accordo. (Fattispecie relativa all'indennità di "agente unico" corrisposta
dalla S.p.A. P.). Ciò deve ritenersi valga quantomeno per gli elementi a base
della retribuzione ordinaria mensile, nel caso di specie dunque con riferimento
alle voci "premio di produzione", "assegno non assorbibile" e "III elemento",
corrisposte ai lavoratori in misura fissa e continuativa. P. avrebbe dunque
dovuto mantenere inalterata la retribuzione ordinaria dei ricorrenti
continuando a corrispondergli dette voci nonostante la disdetta operata
rispetto agli istituti previsti dalla contrattazione aziendale, e la mancata
applicazione nei loro confronti del nuovo accordo integrativo concluso con la
sola FIM-CISL. Quanto alla quattordicesima mensilità, la relativa voce era
garantita ai ricorrenti dai rispettivi contratti di lavoro, nei quali
l'istituto in questione era esplicitamente menzionato e dunque avrebbe dovuto
essergli corrisposto anche in caso di modifica degli accordi aziendali. Né
convince l'argomento di parte resistente secondo cui il riferimento alla
quattordicesima mensilità era da intendersi connesso al richiamo alla
contrattazione aziendale, che preveda detta voce retributiva. Al contrario,
essendo già presente nei singoli contratti di assunzione il rinvio agli
istituti riconosciuti a livello aziendale, l'esplicita menzione delle
quattordici mensilità ha un senso proprio solo a riconoscerle carattere di
diritto specifico attribuito ai lavoratori. Consegue da ciò che debba essere
dichiarato il diritto al mantenimento in capo ai ricorrenti, delle voci
retributive "premio di produzione", "assegno non assorbibile", "III elemento" e
della quattordicesima mensilità, con le modalità in essere sino al 31.3.2013,
condannando la resistente al pagamento delle conseguenti differenze
retributive, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma via
via rivalutata dalle singole scadenze al saldo."
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