Legge e giustizia: sabato 27 aprile 2024

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IN CASO DI IMPOSSIBILITÀ PER GLI OSPEDALI ITALIANI DI ESEGUIRE TEMPESTIVAMENTE UN INTERVENTO CHIRURGICO URGENTE, IL MALATO HA DIRITTO AL RIMBORSO DELLE SPESE SOSTENUTE PER FARSI OPERARE ALL'ESTERO - Il giudice deve disapplicare i provvedimenti amministrativi che comprimano questo diritto, garantito dalla Costituzione (Cassazione Sezione Lavoro n. 8939 del 26 agosto 1999, Pres. Mileo, Rel. Castiglione).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Vincenzo MILEO Presidente Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI Consigliere Dott. Vincenzo CASTIGLIONE Rel. Consigliere Dott. Camillo FILADORO Consigliere Dott. Grazia CATALDI Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da: PALAZZESCHI LUCIO, elettivamente domiciliato in Roma Via Prati Fiscali 284, presso lo studio dell’avvocato Gaetano Margiotta, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti; ricorrente

contro

Unità Sanitaria Locale 23; intimata

avverso la sentenza n. 269/96 del Tribunale di Arezzo, depositata l’11/7/96 R.G. n. 179/95;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 9/2/99 dal Consigliere Dott. Vincenzo Castiglione;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Antonio Bonajuto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Pretore di Arezzo, giudice del lavoro, depositato il 14 febbraio 1993, il sig. Lucio Palazzeschi esponeva di essere affetto - da tempo - da cardiopatia ischemica, in relazione alla quale era stato colpito, nella notte dell'11 agosto 1991, da "forte crisi cardiache", che lo avevano indotto a rivolgersi al proprio cardiologo di fiducia, il quale, constatata la gravità della situazione, aveva affermato la necessità di "ricovero ed intervento cardiochirurgico immediato per grave crisi anginosa ripetitiva e minaccia di infarto"; di avere inviato due persone di fiducia (tali Enzo Duchi e Domenico Sestini) presso il reparto di cardiologia del locale Ospedale, un medico del quale - il dott. Boncompagni - consultatosi con il primario, aveva indicato i centri ospedalieri italiani specializzati in cardiochirurgia; di avere preso contatti telefonici - tramite il Duchi ed il Sestini - con detti centri, che avevano, peraltro, prospettato "consistenti" tempi di attesa per il ricovero e l'intervento; di avere - tale essendo stata la situazione creatasi - deciso di recarsi presso il Centro cardiotoracico del Principato di Monaco, che aveva dato l'immediata disponibilità all'intervento; che, recatosi in data 12 agosto 1991, presso detto Centro, accompagnato, in macchina, dal figlio, il successivo 14 agosto era stato sottoposto all'intervento cardiochirurgico; di avere, conseguentemente, chiesto - senza riscontro - all'U.S.L. n. 23 il rimborso delle spese sostenute per l'intervento. Sulla base di tali ragioni, il ricorrente conveniva in giudizio l'Unità Sanitaria Locale 23, chiedendone la condanna al pagamento della somma di £. 35.203.000.

L'U.S.L. convenuta, costituitasi, eccepiva, preliminarmente, l'improcedibilità del ricorso ai sensi dell'art. 443 cod. proc. civ. per mancata tempestiva impugnazione dell'atto amministrativo, con cui era stata rigettata l'istanza del Palazzeschi, e, nel merito, chiedeva il rigetto della domanda, poiché il ricorrente non aveva chiesto la preventiva autorizzazione a recarsi all'estero e la patologia denunciata era, comunque, compresa tra quelle acute "che debbono in ogni caso essere affrontate sul territorio nazionale". Il Pretore, all'esito dell'espletata istruttoria, compiuta anche con una consulenza tecnica d'ufficio, rigettava la domanda. Proposto appello da parte del Palazzeschi, con sentenza del 19 aprile 1996, il Tribunale di Arezzo respingeva il gravame. Osservava, infatti, il giudice d'appello che, pur essendo stata accertata (con testimonianze e con la consulenza medico-legale di ufficio, espletata in prime cure) la "oggettiva gravità del quadro patologico" del Palazzeschi, tuttavia la malattia documentata da costui era da ricomprendere "nell'ambito di patologica acuta", che, a norma del D.M. 24 gennaio 1990, "doveva essere affrontata sul territorio nazionale".

Aggiungeva che, sebbene fosse stato "sostanzialmente" confermato l'assunto dello stesso Palazzeschi con riguardo al preventivo interpello delle strutture sanitarie nazionali "prima di rivolgersi a quella straniera", il mezzo utilizzato "per effettuare il richiamato interpello" doveva considerarsi "totalmente" inidoneo, in quanto "le telefonate ai vari centri sono state effettuate da persone non in grado di rappresentare con la dovuta precisione la situazione clinica in cui si trovava a versare il Palazzeschi", con la conseguenza che anche "gli interlocutori di dette telefonate possono essere state persone (centralinisti, personale paramedico, impiegati addetti all'accettazione) parimenti non in grado di recepire adeguatamente la richiesta e di valutare nei termini effettivi l'urgenza eventualmente rappresentata". Avverso la sentenza del Tribunale, il sig. Lucio Palazzeschi ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. L'Unità Sanitaria Locale - U.S.L. n. 23 (ora Azienda U.S.L. n. 8) non si è costituita.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, denunciando violazione dell'art. 32 della Costituzione, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere posto a fondamento della decisione le disposizioni contenute nel D.M. 24 gennaio 1990, che prevede per diverse classi di patologia tempi massimi di attesa "fermo restando che la patologia acuta va in ogni caso, affrontata sul territorio nazionale". E ciò, nonostante fossero state riconosciute l'estrema gravità della malattia di esso - attuale - ricorrente e la conseguente necessità di sottoporsi ad immediato intervento chirurgico, possibile in Italia soltanto dopo un'attesa di 30-40 giorni. Con il secondo motivo, denunciando insufficienza della motivazione in ordine alla possibilità del Servizio Sanitario Nazionale di far fronte all'urgenza della situazione, il ricorrente deduce che il Tribunale, da un lato, ha qualificato la patologia di cui trattasi "come acuta e pertanto da affrontarsi in ogni caso sul territorio nazionale"; mentre, dall'altro, ha riconosciuto la fondatezza del preventivo interpello delle strutture nazionali "prima di rivolgersi a quella straniera", per finire, poi, con deplorare il mezzo (il telefono) usato da esso ricorrente "per effettuare l'interpello", senza darsi carico di fornire un'adeguata motivazione.

Con il terzo motivo, il ricorrente addebita alla sentenza di appello la violazione degli artt. 2 e 7 D.M. 3 novembre 1989, che prevedono - nel caso di prestazioni di comprovata, eccezionale urgenza e gravità, non fruibili in Italia - la possibilità per il cittadino di rivolgersi a strutture straniere altamente specializzate, ed ottenere, successivamente, il rimborso delle spese sostenute per prestazioni sanitarie all'estero. Con il quarto motivo, nel denunciare omessa motivazione in ordine all'insufficienza di prova relativa alle spese sostenute, il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia omesso qualsiasi pronuncia con riguardo alla doglianza, con cui si era censurata la sentenza di primo grado, che aveva rilevato una carenza probatoria circa le spese sostenute da esso istante. I quattro motivi del ricorso, essendo evidentemente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

La tesi del ricorrente, con i medesimi prospettata, è fondata e ciò in relazione alle considerazioni che seguono. Osserva, anzitutto, la Corte che il diritto dei cittadini all'assistenza sanitaria (nelle sue varie articolazioni) trova il suo basilare fondamento nella norma di cui all'art. 32, 1° comma, della Costituzione che, ribadendo il principio della tutela della salute pubblica - già esistente nel diritto positivo -, ha esplicitamente enunciato, perfezionando - sul piano dei principi - quello di assistenza contro le malattie che avevano trovato realizzazione nelle molteplici forme mutualistiche a favore dei lavoratori subordinati e di altre categorie, quello della tutela della salute quale "fondamentale diritto dell'individuo", come tale rientrante fra i diritti inviolabili della persona umana ed oggetto, pertanto, di primaria e completa protezione (Cass. Sez. Un. n. 12218/90; v. anche: Cass. n. 8661/96). Sulla natura del diritto alla salute, la giurisprudenza ha peraltro assunto posizioni univoche, sintetizzabili nelle seguenti proposizioni-limite: il diritto alla salute, costituzionalmente garantito, è un diritto soggettivo perfetto e non "affievolito" da nessun atto, né legislativo, né amministrativo; è comandato agli apparati (legislativo, giurisdizionale, amministrativo) di tutelare tale diritto, assunto tra i beni costituzionalmente garantiti, oltre che come fondamentale diritto dell'individuo, come "interesse della collettività"; sono garantite cure gratuite (solo) agli indigenti.

Il diritto alla salute, infatti, nel solco di un indirizzo della Corte Costituzionale (che aveva formalizzato, già con la sentenza n. 184 del 1986, l'opinione con la quale è stata superata l'originaria lettura dell'art. 32 Cost. in chiave esclusivamente pubblicistica, riconoscendosi alla salute una posizione soggettiva autonoma, spiegantesi anche nei rapporti tra privati: v. Corte Cost. sent. n. 559/1987) viene a configurarsi, dunque, come un diritto primario fondamentale "che impone piena ed esaustiva tutela" (Corte Cost. sent. nn. 992/88; 88/79; 1011/88; 298/90; 455/90). Anche se, considerato sotto il profilo del diritto a trattamenti sanitari, il giudice delle leggi non ha mancato di precisare che il diritto alla salute "è soggetto alla determinazione degli strumenti, dei tempi e dei modi di attuazione" della relativa tutela da parte del legislatore ordinario (Corte Cost. sentenze nn. 142/82; 212/83; 342/85; 1011 del 1988 ed altre); fermo restando, però, il principio, secondo cui ogni persona che si trovi nelle condizioni obiettive stabilite dalla legislazione sull'erogazione dei servizi sanitari ha "pieno ed incondizionato diritto a fruire delle prestazioni sanitarie, erogabili, a norma di legge, come servizio pubblico a favore dei cittadini" (Corte Cost. sentenze nn. 103/77 e 175/82).

Questa tutela piena ed esaustiva emerge, dunque, sia sotto il profilo del valore dell'art. 32, che sotto quello dell'efficacia dello stesso: da un lato, "diritto primario ed assoluto" da ricomprendere - come precisato - nella categoria generale dei diritti inviolabili, dal momento che soltanto per il diritto alla salute la Costituzione, non a caso, usa l'espressione "diritto fondamentale"; dall'altro, diritto soggettivo perfetto, direttamente tutelabile di fronte al giudice ordinario. E’ evidente, tuttavia, che, in considerazione dell'espansione della portata del diritto e, di conseguenza, delle implicazioni che tale dilatazione comporta, la norma di cui all'art. 32 Cost. deve sempre essere interpretata in aderenza al complessivo disegno costituzionale, in armonia con gli altri principi. La stessa Corte Costituzionale, più volte, si è preoccupata di avvertire che la tutela del diritto alla salute può, ove necessario, incontrare limiti oggettivi e non soltanto nella stessa organizzazione dei servizi sanitari, bensì anche nell'esigenza della concomitante tutela di altri interessi, del pari costituzionalmente protetti (ex multis: Corte Cost. n. 212 del 1983; v. anche: Corte Cost. n. 185/1998, a proposito del c.d. multitrattamento Di Bella). L'art. 32 configura indubbiamente un autentico diritto soggettivo inviolabile che, però, trova nell'ordinamento una duplice differente valenza, sia per il suo carattere intrinseco, sia per la reale esigenza di applicarlo con altri fondamentali interessi, che trovano ugualmente tutela nella Costituzione (Cass. n. 8661/96, cit.).

Va, tuttavia, osservato che la configurazione della salute individuale quale bene meritevole di immediata tutela, stante la collocazione del menzionato art. 32 nel titolo II della parte I della Corte costituzionale, e data, altresì la sua stessa formulazione con l'attribuzione del dovere di tutela alla "Repubblica", al complesso, cioè, dell'ordinamento giuridico e della comunità organizzata, non significa che un tale dovere sia stato tradotto in un adempimento cui sia sempre tenuto e sotto tutti i profili la pubblica amministrazione attraverso gli organi del servizio sanitario (Cass. Sez. Un. n. 12218/90, cit.). Se, per un verso, il dettato costituzionale acquista operatività immediata e non limitata dall'organizzazione predisposta per l'attuazione del diritto alla salute, per converso restano affidate al legislatore l'ampiezza e le modalità della tutela della salute attraverso anche la determinazione dell'entità dello sforzo finanziario, che la collettività deve sostenere a questo fine, limitando il citato art. 32 all' erogazione della cure gratuite - come già cennato - a favore dei soli indigenti (così: Cass. n. 3870 del 1994 e n. 8661 del 1996). "Quest'ultima dimensione del diritto alla salute", perciò, "comporta che, al pari di ogni pretesa a prestazioni positive, il diritto ad ottenere trattamenti sanitari, essendo basato su norme costituzionali di carattere programmatico impositive di un determinato fine da raggiungere, è garantito a ogni persona come un diritto costituzionale condizionato dall'attuazione che il legislatore ordinario ne dà attraverso il bilanciamento dell'interesse tutelato da quel diritto con gli altri interessi costituzionalmente protetti, tenuto conto dei limiti oggettivi che lo stesso legislatore incontra nella sua opera di attuazione, in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone" (cfr. Cort. Cost. nn. 175/82; 212/83; 1011/88).

"Questo principio, che è comune a ogni altro diritto costituzionale a prestazioni positive, non implica certo una degradazione della tutela primaria assicurata dalla Costituzione a una precisamente legislativa, ma comporta che l'attuazione della tutela, costituzionalmente obbligatoria, di un determinato bene (la salute) avvenga gradualmente a seguito di un ragionevole bilanciamento con altri interessi o beni, che godono di pari tutela costituzionale e con la possibilità reale e obiettiva di disporre delle risorse necessarie per la medesima attuazione" (Corte Cost. n. 226 e 559/87; n. 992/88; 127 e 298/90; n. 40/91); bilanciamento che è pur sempre soggetto al sindacato della Corte Costituzionale nelle forme e nei modi propri all'uso della discrezionalità legislativa (adde: Corte Cost. n. 319/89). In definitiva, il diritto alla salute è, secondo il linguaggio della stessa Corte Costituzionale, "direttamente tutelabile ed azionabile dai soggetti legittimati". Per quanto attiene, poi, a controversie come quelle in esame, è sufficiente considerare che l'ordinamento ha affidato, conseguentemente, alla pubblica amministrazione, in base ad un complesso di norme che nella legge 23 dicembre 1978 n. 833 (istitutiva del servizio sanitario nazionale) hanno trovato completa espressione, uno specifico compito di tutela concernente la salute fisica e psichica degli individui ed estrensicatesi nell’ambito di una più ampia attività in ordine sociale, afferente ai diversi ambiti di vita e alle diverse situazioni a favore di tutti i cittadini indistintamente (Cass. Sez. Un. n. 12218/90 cit.; Cass. n. 1003/93, specialmente in motivazione).

L’effettuazione delle relative prestazioni è stata, pertanto, affidata ad una rete completa di unità sanitarie locali (ora, aziende u.s.l.) articolate, sull’intero territorio nazionale, in presidi, uffici e servizi (artt. 10 ss. L. n. 833/78) che operano in attuazione di norme legislative emanate dallo Stato e dalle regioni, nonché attraverso una complessa attività giuridica che investe distinte competenze e comporta, tra l’altro, l’emanazione di direttive e la stipulazione di convenzioni. Del resto, le Sezioni Unite di questa Corte, con la più volte richiamata decisione n. 12218 del 1990, hanno specificato e chiarito - sia pure in sede di regolamento di giurisdizione - che la legge 833 del 1978 e le sue successive modificazioni ed integrazioni, nonché gli atti regolamentari, amministrativi e negoziali posti in essere in attuazione delle relative norme, sono le fonti che concretamente determinano le prestazioni di assistenza sanitaria che tutti i cittadini hanno il diritto soggettivo di ricevere. Si tratta, quindi, di una tutela non illimitata in relazione a tutte le esigenze (preventive e) terapeutiche dell'individuo, ma circoscritta a quella che "la normativa vigente (peraltro in larga misura) prevede, stabilendo .... quali prestazioni le strutture sanitarie pubbliche sono tenute a garantire". E’ evidente, dunque, che, nell'attività di tali strutture, si configurano necessariamente dei "limiti", definiti dalla giurisprudenza "limiti esterni", oltre i quali, cioè, l'interesse individuale del cittadino cessa di essere direttamente garantito; il che va detto, in particolare, in materia di rimborso del prezzo di medicinali esclusi dal prontuario terapeutico (materia già esaminata dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio con la sentenza n. 1504 del 1985).

Queste ultime, dopo avere considerato che, nell'ambito delle norme di azione, entro cui è configurabile - per il cittadino - soltanto un interesse legittimo (al corretto uso dei pubblici poteri), che consente all'utente non una pretesa incondizionata alle prestazioni del servizio sanitario nazionale, l'ottenimento delle quali è assoggettato all'esercizio di un potere discrezionale della Pubblica Amministrazione (Cass. Sez. Un. n. 347/82), hanno pure affermato: «di fronte ad un'eventuale insopprimibile esigenza, rispetto alla quale le strutture organizzative del servizio nazionale sanitario non offrono rimedi alternativi, il diritto fondamentale dell'individuo alla salute si impone nella sua integrità ed assolutezza senza limite e condizionamenti di sorta» (v. anche: Cass. n. 1747/86 e n. 8661/96, cit.). Tale impostazione giuridica, che deve, in questa sede, essere ribadita, ha trovato un autorevole conforto nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, che, con la sentenza n. 218 del 1994, ha confermato l'opinione che "la salute è un bene primario, costituzionalmente protetto", coerentemente con quanto peraltro ritenuto da questa Corte, secondo cui "in presenza dell'estrema gravità delle condizioni di salute in cui versa il cittadino e dell'impossibilità di ottenere dalle strutture pubbliche prestazioni adeguate, la pretesa al riconoscimento ed al rimborso delle spese per suo conto sostenute ha consistenza di diritto soggettivo perfetto" (Cass. n. 12218/90); con la conseguenza che, ove un atto amministrativo (nella specie, D.M.) non prevede o, peggio, escluda il rimborso di dette spese per alcune patologie, l'atto medesimo - ai sensi dell'art. 5 della legge sull'abolizione del contenzioso amministrativo - deve, dal giudice, essere disapplicato nella parte in cui escluda dal rimborso delle spese sostenute dal cittadino talune patologie, in quanto contrasta con la norma di rango costituzionale in senso contrario: art. 32, I comma, Cost. (v. Cass. n. 5593/94 e 3870/94). Alla luce dei principi enunciati, nella fattispecie il giudice dell'appello doveva pertanto accertare se la spese, sostenuta dal sig. Lucio Palazzeschi per l'intervento chirurgico effettuato presso un centro specializzato estero, non compreso nel D.M. 24 gennaio 1990, in quanto la patologia da cui era affetto lo stesso ("grave crisi anginosa ripetitiva e minaccia di infarto") è stata ritenuta dai giudici di merito rientrante tra quelle acute che "dovevano essere affrontate sul territorio nazionale", poteva o meno esser posta a carico del servizio sanitario nazionale; e se, nella specie, ricorreva alcuno dei vizi di legittimità nell'esercizio del potere discrezionale - inficiante l'esclusione di detta patologia - del menzionato D.M. in base al criterio dell'acuzia della patologia (ove il servizio sanitario nazionale medesimo non fosse in grado di fornite prestazioni adeguate).

La sentenza impugnata non si è uniformata, neppure parzialmente, ai suddetti principi di diritto, risultando, pertanto, viziata nell'iter logico-giuridico ed argomentativo. Nella fattispecie, infatti, la domanda dell'attuale ricorrente si basava sulla deduzione della sussistenza di estrema gravità delle condizioni di salute in cui egli versava, della improcrastinabile necessità di sottoporsi ad un immediato intervento di cardiochirurgia presso un centro specializzato e della "indisponibilità" dei centri italiani contattati a "far fronte, in tempi adeguati, all'urgenza del caso ed all'emergenza manifestatasi" (pag. 6 sent. imp.). Il Tribunale, nonostante gli accertamenti peritali di ufficio di primo grado, che avevano evidenziato come il Palazzeschi fosse risultato affetto "da una gravissima forma di cardiopatia ischemica con stenosi coronariche multiple", e come "detta condizione patologica fosse da considerarsi di eccezionale urgenza e sicuramente tale da rendere immediato l'intervento chirurgico, essendo estremamente elevato il rischio di un eventuale infarto" (pag. 12 sent. imp.); ed abbia altresì ritenuto provato che il tentativo dello stesso Palazzeschi di "ottenere il ricovero e l'intervento chirurgico rapido ed improcrastinabile presso centri cardiochirurgici nazionali" (pag. 13) non avesse avuto riscontro positivo, ratione temporis e per il periodo di attesa di ricovero indicato: in 40-45 giorni, ha poi totalmente trascurato le conseguenze derivanti da tale accertamento e pertanto una circostanza inequivocamente acquisita alla causa, idonea di per sé, ove presa in considerazione, a condurre con certezza ad una decisione diversa da quella adottata, previa disapplicazione - se necessario - del D.M. 24 gennaio 1990, (nonché eventualmente del D.M. 3 novembre 1989), che, in quanto atto amministrativo, non può comprimere il diritto alla tutela della salute, come sopra garantito costituzionalmente. Per le motivazioni esposte ed in accoglimento del ricorso per quanto di ragione, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa ad altro giudice di appello, che si designa nel Tribunale di Siena, il quale nel portare la nuova indagine, si uniformerà ai principi di diritto richiamati e valuterà, all'esito, se il Palazzeschi abbia o meno provato il pagamento delle somme di cui chiede il rimborso nelle forme di assistenza indiretta. Il giudice del rinvio provvederà, altresì alla regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Siena.

Così deciso in Roma il 9 febbraio 1999

Il Presidente F.to Vincenzo Mileo

Il Cons. Estensore F.to Vincenzo Castiglione

F.to. Vincenzo Castiglione

Depositata in Cancelleria il 26 agosto 1999


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