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Legge e giustizia: venerd́ 29 marzo 2024
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IN CASO DI UN IMPREVEDIBILE MUTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA ALLA PARTE CHE SI SIA ATTENUTA AL PRECEDENTE ORIENTAMENTO IN BASE A UN RAGIONEVOLE AFFIDAMENTO NON SI POSSONO APPLICARE PRECLUSIONI DERIVANTI DALLE NUOVE REGOLE - Overruling (Cassazione Sezione Lavoro n. 1483 del 27 gennaio 2015, Pres. Macioce, Rel. Amendola).
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Maria
M. ha impugnato il licenziamento intimatole dalla Associazione Ecoqualità con
ricorso depositato davanti al Tribunale di Catania il 6 febbraio 2008. Con
decreto del 18 febbraio 2008 il Giudice monocratico ha fissato l'udienza per il
giorno 24 giugno 2008. A tale udienza non avendo la ricorrente provveduto alla
notificazione del ricorso e del decreto, su istanza di parte, il giudice ha
fissato una nuova udienza per l'11 novembre 2008, con termine per procedere
alla rinnovazione della notifica. Il ricorso e il verbale di causa sono stati
notificati tempestivamente e le parti si sono costituite per la nuova udienza. Il
Tribunale, espletata l'istruttoria, ha annullato il licenziamento. In appello,
la Corte di Catania, su specifica eccezione dell'appellante, ha dichiarato
l'improcedibilità del ricorso del primo grado per omessa tempestiva notifica,
dando applicazione al principio afferente per la prima volta dalle Sezioni
Unite con sentenza n. 20604 del 2008 secondo cui in base alla regola della
ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.), in caso di mancata notifica
non è consentito al Giudice di assegnare un termine per una nuova notifica.
Avverso la decisione della Corte di Catania Maria M. ha proposto ricorso per
violazione di legge lamentando che il giudice dell'appello abbia dato
applicazione retroattiva ad un radicale mutamento di orientamento
giurisprudenziale.
La
Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 1483 del 27 gennaio 2015, Pres. Macioce, Rel.
Amendola) ha accolto il ricorso, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite n.
15144 del 2011 secondo cui: "il mutamento
della precedente interpretazione della norma processuale da parte del giudice
della nomofilachia (c.d. overruling), il quale porti a ritenere esistente, in
danno di una parte del giudizio, una decadenza od una preclusione prima
escluse, opera come interpretazione correttiva che si salda alla relativa
disposizione di legge processuale "ora per allora", nel senso di rendere
irrituale l'atto compiuto o il comportamento tenuto dalla parte in base
all'orientamento precedente. Tuttavia, ove l'"overruling" si connoti del
carattere dell'imprevedibilità (per aver agito in modo inopinato e repentino
sul consolidato orientamento pregresso), si giustifica una scissione tra il
fatto (e cioè il comportamento della parte risultante "ex post" non conforme
alla corretta regola del processo) e l'effetto, di preclusione o decadenza, che
ne dovrebbe derivare, con la conseguenza che - in considerazione del
bilanciamento dei valori in gioco, tra i quali assume preminenza quello del
giusto processo (art. 111 Cost.), volto a tutelare l'effettività dei mezzi di
azione e difesa anche attraverso la celebrazione di un giudizio che tenda,
essenzialmente, alla decisione di merito - deve escludersi l'operatività della
preclusione o della decadenza derivante dall'"overruling" nei confronti della
parte che abbia confidato incolpevolmente (e cioè non oltre il momento di
oggettiva conoscibilità dell'arresto nomofilattico correttivo, da verificarsi
in concreto) nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa,
la quale, sebbene soltanto sul piano fattuale, aveva comunque creato l'apparenza
di una regola conforme alla legge del tempo".
Nel
caso in esame - ha osservato la Corte - non può negarsi il carattere della
imprevedibilità del successivo mutamento espresso dalla Sezioni Unite con la
sentenza del 2008. Poiché il principio del giusto processo impone di fare
salvo, in materia di regole processuali, l'affidamento delle parti
sull'apparenza del diritto conseguente ad una consolidata interpretazione
giurisprudenziale, quando viene in rilievo un problema di tempestività dell'atto,
può dunque trovare diretta attuazione - secondo la richiamata sentenza a SS.UU.
n. 15144 del 2011 - l'esclusione dell'operatività della preclusione derivante
dalla nuova interpretazione della legge. Ciò implica che in fattispecie del
genere debba farsi applicazione, nel concorso delle previste condizioni di
scusabilità, della regola processuale così come ritenuta vigente prima del mutamento
di giurisprudenza. Nel caso che ci occupa - ha concluso la Corte - si può
quindi affermare che la parte, avuta riguardo all'udienza del 24 giugno 2008,
precedente al mutamento imposto dalle Sezioni Unite con la sentenza del 30
luglio successivo, ha ragionevolmente confidato nell'interpretazione della
disciplina sulla notificazione del ricorso e del provvedimento di fissazione di
nuova udienza, cui seguì l'instaurazione del contraddittorio con la
costituzione delle controparti. Ne consegue che la Corte di Appello in alcun
modo poteva sanzionare con l'improcedibilità il ricorso proposto da Maria M.,
in applicazione di un radicale ed imprevedibile mutamento giurisprudenziale
sopravvenuto. Peraltro - ha osservato la
Corte - le Sezioni Unite, successivamente alla sentenza n. 20604 del 2008,
hanno modificato il loro orientamento, onde allo stato deve essere applicato il
seguente principio di diritto: "nel rito
del lavoro, nel caso di omessa o inesistente notifica del ricorso introduttivo
del giudizio e del decreto di fissazione dell'udienza, è ammessa la concessione
di un nuovo termine, perentorio, per la rinnovazione della notificazione di
tali atti". Proprio dal principio del "del
giusto processo", più di recente, le Sezioni Unite sono partite per
riesaminare taluni enunciati espressi dal precedente costituito dalla sentenza
n. 20604 del 2008, cogliendo l'occasione rappresentata dalla questione
dell'omessa o inesistente notifica del ricorso e del decreto di fissazione
dell'udienza alla controparte in materia di equa riparazione ex lege n. 89 del
2001 (Cass. SS.UU. n. 5700 del 12 marzo 2014). Hanno così affermato "che il principio del giusto processo ... non
si esplica nella sola durata ragionevole dello stesso". Hanno richiamato la
dottrina per sottolineare che "occorre
prestare altresì la massima attenzione ad evitare di sanzionare comportamenti
processuali ritenuti non improntati al valore costituzionale della ragionevole
durata del processo, a scapito degli altri valori in cui pure si sostanzia il
processo equo, quali il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, e, in
definitiva, il diritto ad un giudizio". Hanno evidenziato in proposito che
"la stessa Corte Europea di Strasburgo, pur sottolineando che ad essa non
compete un sindacato sulla interpretazione e sull'applicazione della regola
emessa a livello nazionale, ammette poi le limitazioni all'accesso ad un
giudice solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un
rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito,
affermando in particolare che ritenere l'irricevibilità di un ricorso non
articolato con la specificità richiesta configura un eccessivo formalismo;
ovvero ponendo in rilievo la esigenza che le limitazioni al diritto di accesso
ad un giudice siano stabilite in modo chiaro e prevedibile, e, dunque, alla
stregua di una giurisprudenza non ondivaga o non specifica.
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