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Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024
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IL TERMINE "TOGA ROSSA" NON HA PORTATA DIFFAMATORIA - Può anzi assumere un significato elogiativo (Cassazione Sezione Terza Civile n. 1435 del 27 gennaio 2015, Pres. Petti, Rel. Cirillo).
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In
un libro intitolato "Piombo rosso - La
storia completa della lotta armata in Italia dal 1970 ad oggi" Giorgio
Rossi ha menzionato il magistrato Lorenzo Matassa definendolo "una toga rossa di quelle particolarmente
sgradite al Presidente del Consiglio ed ai suoi giornali". Il magistrato ha
chiesto al Tribunale Civile di Milano la condanna dell'autore e dell'editore
del libro al risarcimento del danno per lesione della sua reputazione
professionale, ritenuta la natura diffamatoria dell'espressione "toga rossa" ha
condannato l'autore del libro e il suo editore al risarcimento del danno non
patrimoniale in misura di euro 5000. Questa decisione è stata totalmente
riformata, in grado di appello, dalla Corte di Milano. Essa ha osservato nella
specie, non era stata prospettata dall'interessato una lesione della propria
identità personale, bensì soltanto della propria reputazione professionale. La
censurata espressione di "toga rossa ", però, presa nel contesto di un'ampia
trattazione sul periodo dei c.d. anni di piombo, non risultava usata in tono
denigratorio o dispregiativo, bensì piuttosto in senso positivo, ossia per
indicare l'atteggiamento di un magistrato inquirente che non si ferma alle
apparenze e che gode di una "coscienza tranquillamente fiera". Il magistrato ha
proposto ricorso per cassazione censurando la decisione impugnata per vizi di
motivazione e violazione di legge.
La
Suprema Corte (Sezione Terza Civile n. 1435 del 27 gennaio 2015, Pres. Petti,
Rel. Cirillo) ha rigettato il ricorso. La lesione dell'onore e della
reputazione altrui non si verifica quando la diffusione a mezzo stampa delle
notizie costituisce legittimo esercizio del diritto di cronaca, condizionato
all'esistenza dei seguenti presupposti: la verità oggettiva, o anche solo
putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca, tenuto conto
della gravità della notizia pubblicata; l'interesse pubblico alla conoscenza
del fatto (cosiddetta pertinenza) e la correttezza formale dell'esposizione
(cosiddetta continenza). La valutazione in concreto della sussistenza di tali
elementi è un potere spettante al giudice di merito, non sindacabile in sede di
legittimità in presenza di motivazione congrua ed immune da vizi logici. La
Corte d'Appello di Milano, nella specie, ha fatto buon governo dei principi
sopra indicati. Con una motivazione correttamente argomentata e priva di vizi
logici, essa ha dato la propria ricostruzione dei fatti con la conseguente
valutazione, pervenendo alla conclusione - come sopra si è visto - che la frase
di cui si doleva il dott. Matassa non assumeva, in relazione al contesto
complessivo dell'opera, alcuna valenza denigratoria, quanto invece doveva
ritenersi in qualche modo elogiativa; ciò in quanto l'uso del termine toga
rossa, aggiunto al rilievo per cui magistrati del genere del dott. Matassa
erano affatto sgraditi al Presidente del Consiglio (dell'epoca) ed ai suoi
giornali, non poteva avere, di per sé, alcun carattere diffamatorio, stante
anche la soggettività della valutazione in termini di sgradevolezza.
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