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Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024
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NEL GIUDIZIO PENALE IL CONTROLLO DI LEGITTIMITA' SI APPUNTA SULLA COERENZA STRUTTURALE DELLA DECISIONE - Sotto il profilo logico-argomentativo (Cassazione Sezione Quarta Penale n. 18073 del 29 aprile 2015, Pres. Brusco, Rel. Iannello).
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Nel
processo penale come costantemente precisato nella giurisprudenza della S.C.,
il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del
provvedimento impugnato è - per espressa disposizione legislativa -
rigorosamente circoscritto a verificare che la pronuncia sia sorretta, nei suoi
punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori
nell'applicazione delle regole della logica, ed esenti da vistose ed
insormontabili incongruenze tra di loro. Occorre inoltre che la motivazione non
sia logicamente inconciliabile con "atti
del processo" - specificamente indicati e rappresentati dal ricorrente -
che siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che
la loro rappresentazione disarticoli l'intero ragionamento svolto dal
giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità così da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione. In altri termini - in aderenza alla previsione normativa che
attribuisce rilievo solo al vizio della motivazione che risulti "dal testo del provvedimento impugnato" o
da "altri atti del processo"
specificamente indicati e rappresentati nei motivi di gravame - il controllo di
legittimità si appunta sulla coerenza strutturale della decisione, di cui
saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo. Al giudice di
legittimità è invece preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti (preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa). Queste
operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell'ennesimo giudice del fatto
e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatele dal legislatore
di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati
dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza)
rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di
rappresentare e spigare l'iter logico seguito dal giudice per giungere alla
decisione.
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