Legge e giustizia: mercoledì 24 aprile 2024

Pubblicato in : Informazione e comunicazione

QUANDO LA NOTIZIA DIFFUSA ABBIA PER OGGETTO UNA DICHIARAZIONE RESA IN SEDE GIUDIZIARIA IL GIORNALISTA NON E' TENUTO A SVOLGERE SPECIFICHE INDAGINI - Accertamento della verità storica (Cassazione Sezione Terza Civile n. 17234 del 27 agosto 2015, Pres. Chiarini, Rel. Lanzillo).

Quando si controverta della veridicità e correttezza dell'informazione che abbia per oggetto la diffusione di circostanze di fatto dichiarate da altri e oggettivamente offensive, il significato di "verità oggettiva della notizia" può essere inteso sia come verità del fatto oggetto della notizia, sia come verità della notizia come fatto in sé, indipendentemente dalla veridicità del suo contenuto: nel senso che il fatto riferito può non essere affatto vero, e ciò tuttavia non esclude che possa essere ben vero che un soggetto lo racconti, e che il racconto costituisca di per se stesso un "fatto" così rilevante nella vita pubblica che la stampa verrebbe meno al suo compito informativo se lo tacesse. Occorre poi distinguere i casi in cui l'oggetto della narrazione sia stato raccolto dal giornalista nel corso di un'intervista, o da altre fonti private, ed i casi in cui sia tratto dagli atti e dalle indagini dell'autorità giudiziaria. Nel primo caso la verità dei fatti narrati deve essere controllata dal giornalista sia con riferimento all'attendibilità della fonte della notizia, sia con riguardo all'accertamento della verità sostanziale dei fatti narrati. Il diritto di cronaca presuppone cioè la fedeltà dell'informazione, che consiste nell'esatta rappresentazione del fatto percepito dal cronista, il quale deve curare di rendere inequivoco al destinatario della comunicazione il tipo di percezione, se relativa al contenuto della notizia, o solo alla notizia in se come fatto storico; se diretta ovvero indiretta, derivandone in tale seconda ipotesi il debito riscontro dei fatti, comportamenti e situazioni che ne dimostrino l'attendibilità (Cass. 29 agosto 1990 n. 8693; Cass. 26/07/2002, n. 11060): pur con un margine di tolleranza verso le eventuali imprecisioni tanto più ampio, quanto più rilevante sia l'interesse pubblico alla diffusione dell'informazione: interesse che può essere determinato anche solo dalla personalità, dal ruolo pubblico, dall'autorevolezza, dal prestigio, ecc. di colui da cui la notizia proviene. Quando invece la notizia diffusa abbia per oggetto una dichiarazione resa in sede giudiziaria o le risultanze di atti e di indagini svolte dall'autorità giudiziaria, il giornalista non è tenuto a svolgere specifiche indagini sulla attendibilità del dichiarante (testimone, coimputato o "pentito"), né sulla veridicità di quanto da lui dichiarato, come prospetta il ricorrente, poiché tale valutazione riguarda il merito della dichiarazione, la sua intrinseca rispondenza a verità, laddove il giornalista è tenuto solo ad accertare che la dichiarazione sia stata effettivamente resa, ed in quale contesto essa sia stata resa (Cass. civ. 19 luglio 2004 n. 13346). Si fa anzi osservare che la pretesa che il giornalista accerti l'attendibilità del dichiarante e la corrispondenza al vero del contenuto della di lui dichiarazione avrebbe l'effetto di snaturare l'attività di informazione giornalistica, attribuendole il compito di procedere ad indagini similgiudiziarie (le quali, peraltro, potrebbero sempre essere smentite dall'esito finale del processo); o quello di impedire di fatto l'esercizio della cronaca giudiziaria fino all'esito della sentenza definitiva, poiché solo con quest'ultima si ha la certezza della verità o meno del contenuto di una dichiarazione resa nel procedimento.

Quando il giornalista diffonde la notizia di un fatto giudiziario - qual' è la dichiarazione resa da un pentito di mafia nel corso di un dibattimento penale - l' onere a suo carico di accertare la verità storica è limitato alla reale sussistenza del fatto medesimo, cioè del fatto che quelle dichiarazioni sono state rese. E non solo non gli è richiesto, ma non gli è consentito, di effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare attività di polizia e magistratura, né di svolgere personali indagini al fine di accertare la veridicità o meno delle dichiarazioni rese dal pentito, non potendo egli prospettare e anticipare in modo autonomo l'evoluzione e l'esito di indagini ufficiali in corso, né porre in essere un'attività valutativa e investigativa che è rimessa all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria (Cass. pen. n. 7333 del 2008; n. 3674 del 2010).


© 2007 www.legge-e-giustizia.it