|
Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024
|
IN CASO DI MOBBING IL DANNO ESISTENZIALE PUO' ESSERE LIQUIDATO SE V'E' PROVA DI EFFETTIVO PEGGIORAMENTO DEL TREND DI VITA - Senza il ricorso a forme standardizzate (Cassazione Sezione Lavoro n. 23837 del 23 novembre 2015, Pres. Stile, Rel. Esposito).
|
La Corte d'Appello di Lecce, con
sentenza del 24.2.2010, in parziale accoglimento dell'appello avverso la
sentenza che aveva accolto la domanda avanzata da Walter D. nei confronti di
Poste Italiane s.p.a. e INAIL per ottenere il risarcimento dei danni
conseguenti a mobbing, escludeva dal risarcimento la voce attinente al c. d.
danno esistenziale riconosciuta in prime cure. I giudici del merito
evidenziavano che appariva sufficientemente dimostrato che il Walter D. non
aveva avuto accesso ad alcun corso di qualificazione istituito per i
dipendenti, nonostante avesse conseguito la laurea in giurisprudenza, così restando
emarginato dal contesto della ristrutturazione ed ammodernamento del servizio
postale e connessi servizi para bancari, e che il medesimo era stato fatto
oggetto di pretestuose iniziative disciplinari, tutte pacificamente conclusesi
con l'annullamento delle sanzioni, oltre che di condotte di ferma resistenza
alle pronunce giudiziali che ne imponevano il tangibile riconoscimento professionale, previo inserimento
nella superiore qualifica direzionale A/2. Da ciò anche il denunciato
demansionamento, in un insieme di azioni riferibili alla programmata e
reiterata attività di compressione della personalità del lavoratore. La Corte territoriale
disattendeva, tuttavia, la pretesa attinente al danno c.d. esistenziale
evidenziando la mancanza di allegazione e prova di episodi attestanti l'effettiva
mutazione in peius del trend di vita.
Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione censurando la sentenza della
Corte leccese per aver negato il diritto al risarcimento del danno
esistenziale.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro
n. 23837 del 23/11/2015, Pres. Stile, Rel. Esposito) ha rigettato il ricorso.
La Corte leccese - ha osservato la Cassazione - ha correttamente escluso che
dall'istruttoria siano emerse circostanze sintomatiche di alterazioni
significative delle abitudini di vita personali e sociali ovvero del trend di
vita del soggetto. L'impugnata sentenza si è pertanto attenua ai principi
affermati dalle Sezioni Unite (n. 6572 del 2006) secondo cui il danno
esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed ulteriore (propria
del danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la
prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si
fosse verificato l'evento dannoso. Anche in relazione a questo tipo di danno il
giudice è astretto alla allegazione che ne fa l'interessato sull'oggetto e sul
modo di operare dell'asserito pregiudizio, non potendo sopperire alla mancanza
di indicazione in tal senso nell'atto di parte, facendo ricorso a formule
standardizzate, e sostanzialmente elusive della fattispecie concreta,
ravvisando immancabilmente il danno all'immagine, alla libera esplicazione ed
alla dignità professionale come automatica conseguenza della dequalificazione.
Il danno esistenziale infatti - ha affermato la Corte - essendo legato
indissolubilmente alla persona, e quindi non essendo passibile di determinazione
secondo il sistema tabellare - al quale si fa ricorso per determinare il danno
biologico, stante la uniformità dei criteri medico legali applicabili in
relazione alla lesione dell'indennità psicofisica - necessita
imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il soggetto danneggiato può
fornire, indicando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini
di vita. Non è dunque sufficiente la prova della dequalificazione,
dell'isolamento, della forzata inoperosità, dell'assegnazione a mansioni
diverse ed inferiori a quelle proprie, perché questi elementi integrano
l'inadempimento del datore, ma, dimostrata questa premessa, è poi necessario
dare la prova che tutto ciò, concretamente, ha inciso in senso negativo nella
sfera del lavoratore, alterandone l'equilibrio e le abitudini di vita. Non può
infatti escludersi che la lesione degli interessi relazionali, connessi al
rapporto di lavoro, resti sostanzialmente priva di effetti, non provochi cioè
conseguenze pregiudizievoli nella sfera soggettiva del lavoratore, essendo
garantito l'interesse prettamente patrimoniale alla prestazione retributiva; se
è così, sussiste l'inadempimento, ma non c'è pregiudizio e quindi non c'è nulla
da risarcire, secondo i principi ribaditi dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 378 del 1994 per cui "è
sempre necessaria la prova ulteriore dell'entità del danno, ossia la
dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello
indicato dall'art. 1223 cod. civ., costituita dalla diminuzione o privazione di
un valore personale (non patrimoniale) alla quale il risarcimento deve essere
(equitativamente) commisurato" (Cass. SS. UU., sentenza n. 6572 del
2006).
© 2007 www.legge-e-giustizia.it |
|