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Legge e giustizia: venerd́ 29 marzo 2024
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ASTENSIONE DAL LAVORO CON DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE - In caso di inadempienza aziendale agli obblighi di sicurezza (Cassazione Sezione Lavoro n. 836 del 19 gennaio 2016, Pres. Macioce, Rel. Amendola).
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Adrian D. ed altri 13 dipendenti
della Fiat Group Automobiles Spa hanno convenuto la datrice di lavoro davanti
al Tribunale di Torino esponendo che erano addetti all'assemblaggio delle
portiere delle auto presso il reparto denominato "Ute 11"; che nei
mesi precedenti il marzo 2008 si era verificata la caduta di diverse portiere;
che il 3 marzo 2008 si era verificata l'ennesima caduta di una portiera, per
cui i ricorrenti si erano rifiutati di proseguire il lavoro sino a quando
l'azienda non avesse adempiuto agli obblighi in materia di sicurezza; che era
intervenuta la squadra di manutenzione che aveva effettuato i primi interventi
urgenti di riparazione e sostituzione dei ganci di tenuta, all'esito dei quali,
dopo un'ora e 45 minuti gli operai avevano ripreso il lavoro; che l'azienda
aveva addebitato ai ricorrenti la retribuzione corrispondente al fermo di
un'ora e 45 minuti qualificando il rifiuto della prestazione come sciopero. Essi
hanno chiesto la condanna della società
a rimborsare quanto indebitamente trattenuto per la giornata del 3 marzo 2008.
Il Tribunale di Torino ha rigettato il ricorso, ritenendo che la non gravità
dell'inadempimento datoriale escludesse l'applicabilità dell'art. 1460 c.c. (eccezione
di inadempimento). I lavoratori soccombenti hanno impugnato tale decisione e la
Corte di Appello di Torino, con sentenza del 18 febbraio 2011, ha accolto il
gravame condannando la società a pagare le somme trattenute per la giornata del
3 marzo 2008, oltre accessori e spese del doppio grado.
La Corte territoriale
ha ritenuto "sussistenti tutti i
requisiti della fattispecie prevista dall'art. 1460 c.c. con la conseguente
legittimità del rifiuto temporaneo della prestazione" attuato dai
lavoratori. Ha considerato che il rifiuto era immediatamente seguito
all'ennesima caduta di una portiera; che la gravità di tale evento, in
correlazione con gli obblighi di sicurezza e di prevenzione gravanti sul datore
di lavoro, era desumibile dalla circostanza, riconosciuta dall'azienda
medesima, che la caduta di una portiera avrebbe potuto provocare seri danni
all'addetto che ne fosse stato investito; che l'indagine sulla causale dei
distacchi non apportava elementi tali da ridurre o attenuare la gravità
dell'inadempimento circa gli obblighi di sicurezza e prevenzione; che
nell'ottica della gravità complessiva del comportamento datoriale inadempiente
occorreva evidenziare che nel periodo precedente l'episodio del 3 marzo 2008 si
erano verificati altri casi di sganciamento totale o parziale delle portiere e
tale circostanze erano state comunicate ai superiori; che, sotto il profilo
della proporzionalità della reazione, la sospensione della prestazione si era
protratta per il tempo strettamente necessario per consentire l'intervento dei
manutentori, dopo di che i lavoratori, rassicurati dall'intervento aziendale,
avevano ripreso a lavorare. I giudici torinesi hanno altresì affermato che dall'applicazione
dell'art. 1460 c.c. deriva direttamente una posizione di mora credendi del datore di lavoro che non è quindi liberato
dall'obbligazione relativa alla corresponsione della retribuzione relativa
all'arco temporale in cui la prestazione lavorativa non ha avuto luogo; una
soluzione di diverso segno risulterebbe contraria ai principi dell'ordinamento,
dal momento che, in presenza di un'astensione legittima, ed essendo esclusa la
fattispecie dello sciopero, proprio sul piano della corrispettività delle
prestazioni non ne può derivare un danno al soggetto che ha subito
l'inadempimento datoriale. L'Azienda ha proposto ricorso per cassazione
censurando la sentenza della corte torinese per violazione di legge.
La Suprema Corte Sezione Lavoro
(n. 836 del 19 gennaio 2016, Pres. Macioce, Rel. Amendola) ha rigettato il
ricorso. Il datore di lavoro - ha affermato la Corte - è obbligato a mente
dell'art. 2087 c.c. ad assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la
sicurezza delle lavorazioni ed è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa
le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei
prestatori di lavoro. Per la giurisprudenza di legittimità la violazione di
tale obbligo consente ai lavoratori di non eseguire la prestazione, eccependo
l'inadempimento altrui (Cass. n. n. 10553 del 2013; n. 14375 del 2012; n. 11664
del 2006; n. 9576 del 2005). La protezione, anche di rilievo costituzionale,
dei beni presidiati dall'art. 2087 c.c. postula meccanismi di tutela delle
situazioni soggettive potenzialmente lese in tutte le forme che l'ordinamento
conosce: dunque - ha rilevato la Corte - per garantire l'effettività della
tutela in ambito civile, non solo azioni volte all'adempimento dell'obbligo di
sicurezza o alla cessazione del comportamento lesivo ovvero a riparare il danno
subito, ma anche il potere di autotutela contrattuale rappresentato
dall'eccezione di inadempimento, rifiutando l'esecuzione della prestazione in
ambiente nocivo soggetto al dominio dell'imprenditore. Di recente è stato
altresì statuito che in caso di violazione da parte del datore di lavoro
dell'obbligo di sicurezza di cui all'art. 2087 cod. civ., non solo è legittimo,
a fronte dell'inadempimento altrui, il rifiuto del lavoratore di eseguire la
propria prestazione, ma costui conserva, al contempo, il diritto alla
retribuzione in quanto non possono derivargli conseguenze sfavorevoli in
ragione della condotta inadempiente del datore (Cass. n. 6631 del 2015). Poiché
la Corte torinese ha applicato tale principio di diritto - ha concluso la
Cassazione - riconoscendo ai lavoratori la retribuzione per il periodo di
sospensione dell'attività, prescindendo dalla costituzione in mora e pur in
assenza di una prestazione lavorativa, la sentenza impugnata non merita le
critiche che le sono mosse.
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