|
Legge e giustizia: giovedì 18 aprile 2024
|
ALLE SEZIONI UNITE UNA QUESTIONE DI ECCESSO DI FORMALISMO - Effettività della tutela in sede giudiziaria (Cassazione Sezione Prima Civile n. 1081 del 21 gennaio 2016, Pres. Di Palma, Rel. Nazzicone).
|
Ove la sentenza della Corte
d'Appello sia stata notificata, il ricorrente deve depositare la copia
notificata di detta sentenza, per non incorrere nell'improcedibilità. Si è
posta la questione se l'improcedibilità vada dichiarata anche nel caso in cui
la copia notificata della sentenza sia stata depositata dal controricorrente.
Sinora la Suprema Corte si è pronunciata prevalentemente in senso restrittivo,
escludendo l'effetto "salvifico" del deposito della sentenza da parte del
controricorrente.
La questione è stata riproposta
in un giudizio innanzi alla Prima Sezione della Cassazione che con ordinanza
interlocutoria n. 1081 del 21/1/2016 (Pres. Di Palma, Rel. Nazzicone), rilevato
il contrasto riscontrato negli orientamenti delle sezioni semplici, ha rimesso
gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del giudizio alle
Sezioni Unite. Nella motivazione dell'ordinanza si fa riferimento alla
giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, richiamata dalle
Sezioni Unite nella sentenza n. 17931/25013, secondo cui "la Corte di
Strasburgo reputa che nell'interpretazione ed applicazione della legge, in particolare
di quella processuale, gli stati aderenti, e per essi i massimi consessi
giudiziari, devono evitare gli «eccessi di formalismo», segnatamente in punto
di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile,
la concreta esplicazione di quel «diritto di accesso ad un tribunale» sopra
menzionato" (Cass., sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931). La notazione
- si osserva nell'ordinanza - appare del tutto pertinente nel caso in esame,
come pure le significative pronunzie della Corte di Strasburgo ivi segnalate
(Corte eur. DU 24 aprile 2008, ric. n. 17140/08; 21 febbraio 2008, ric. n.
2602/06; 8 giugno 2005, ric. n. 74328/01). Ad esse occorre aggiungere la
recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale afferma
che - pur non essendo il diritto di accesso assoluto e permettendo limitazioni
interne di ricevibilità del ricorso - "queste restrizioni non possono
limitare l'accesso disponibile alla parte in causa in maniera o a un punto tali
che il suo diritto a un Tribunale venga leso nella sua stessa sostanza; infine,
esse si conciliano con l'articolo 6 § 1 soltanto se tendono ad uno scopo
legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra mezzi
utilizzati e lo scopo perseguito. In effetti, il diritto di accesso ad un Tribunale viene leso quando la sua regolamentazione cessa di essere utile agli
scopi della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia
e costituisce una sorta di barriera che impedisce alla parte in causa di vedere
la sostanza della sua lite esaminata dall'autorità giudiziaria competente (Corte
eur. DU 16 giugno 2015, ric. n. 20485/06, punto 39).
L'ordinanza ricorda pure che "l'art.
6 della Convenzione non costringe gli Stati contraenti a creare delle Corti
d'Appello o di Cassazione. Tuttavia, uno Stato che si dota di giurisdizioni di
tale natura ha l'obbligo di vigilare affinché le parti in causa beneficino
presso di esse delle garanzie fondamentali" (punti 40, 41). Nello
stesso senso già altre pronunce, secondo cui, sebbene il diritto a ricorrere
dinanzi a un giudice non sia assoluto, ma assoggettabile a limitazioni,
segnatamente per quanto riguarda le condizioni di ricevibilità di un ricorso,
esse non devono tuttavia impedire ai singoli di avvalersi di un rimedio
giuridico disponibile (Corte eur. D.U. 6 dicembre 2011, ricorso n. 41959/08, Anastasakis
c. Grecia, § 24; così pure citata Corte di giustizia UE 28 febbraio 2013, Arango
Jaramillo, punto 43, e ord. 16 novembre 2010, Internationale
Fruchtimport Gesellschaft Weichert/Commissione, C-73/10 P, punto 53) e si
conciliano con l'art. 6 Cedu solo se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità
tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (cfr. Corte eur. DU 9 gennaio 2014,
ricorso n. 71658/10, Viard c. Francia, punto 29; 18 gennaio 2011, ric.
n. 2555/03, cit., punto 56; 24 aprile 2008, ricorso n. 17140/05, Kemp e
altri c. Lussemburgo, punto 47; 24 maggio 2006, ric. n. 20627/04, Liakopoulou
c. Grecia, punto 17). E accaduto, in passato, che sia stata considerata in violazione
dell'art. 6 Cedu una decisione della Suprema Corte, la quale aveva dichiarato
inammissibile un'impugnazione a causa del mancato rispetto del termine
assegnato al ricorrente per la notificazione dell'atto d'integrazione del
contraddittorio, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., senza tener conto delle
obiettive difficoltà incontrate dalla parte nell'effettuare tale attività di
notificazione, essendo i litisconsorti residenti all'estero (cfr. Cass. 4 giugno
2001, n. 7482 e Corte eur. DU 19 maggio 2005, Kaufmann c. Italia), onde
in seguito la Corte si è uniformata al meno restrittivo orientamento (Cass. 12 settembre
2008, n. 23543). Allo stesso modo, più di recente le Sezioni unite (Cass., Sez.
Un., 12 marzo 2014, n. 5700), proprio invocando l'art. 6 Cedu, hanno innovato
sulla questione relativa alla possibilità di concedere un nuovo termine per la
notifica del ricorso per equo indennizzo di cui alla legge n. 89 del 2001. La
sanzione dell'improcedibilità del ricorso per cassazione potrebbe, dunque - ha
concluso l'ordinanza - costituire una limitazione del diritto ad una tutela
giurisdizionale effettiva non proporzionale allo scopo perseguito dalla regola
in esame.
© 2007 www.legge-e-giustizia.it |
|