Legge e giustizia: sabato 20 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

MORTE DELL'AUTISTA, IN TRASFERTA, PER INVESTIMENTO SUBITO MENTRE, DOPO AVER CENATO, STAVA TORNANDO AL SUO CAMION - Costituisce infortunio sul lavoro (Cassazione Sezione Lavoro n. 14157 del 16 dicembre 1999, Pres. Delli Priscoli, Rel. De Matteis).

Il Tribunale di Milano ha ritenuto infortunio sul lavoro, ai fini della tutela INAIL, la morte di un autista investito mentre stava attraversando la strada statale di Ceccano (FR), dove si trovava in trasferta, in attesa di portare a compimento le sue prestazioni (trasporto, carico e scarico merci); l’orario e il luogo dell’incidente hanno fatto ritenere al Tribunale che l’autista stesse ritornando al camion per passarvi la notte. Conseguentemente il Tribunale ha escluso la sussistenza di un rischio generico cui è esposta qualsiasi persona andando al lavoro ed ha invece ravvisato un rischio specifico collegato al tipo e alle modalità di espletamento delle mansioni.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 14157 del 16 dicembre 1999, Pres. Delli Priscoli, Rel. De Matteis) ha rigettato il ricorso proposto contro questa decisione dal datore di lavoro dell’autista, in quanto ha ritenuto che il Tribunale abbia correttamente motivato la sua decisione, avendo accertato che il lavoratore stava ritornando al camion per passarvi la notte, dopo avere presumibilmente cenato in un locale, e cioè dopo avere compiuto un atto fisiologico necessario, che, costituendo necessità della vita immediatamente connessa al lavoro assicurato, non elide il rapporto con l’attività lavorativa. Nella motivazione di questa decisione la Suprema Corte ha sintetizzato i principi affermati dalla sua giurisprudenza in materia di infortunio sul lavoro. Il sistema delle assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro, pur conservando a tutt'oggi l'impianto originario della legge 17.3.1898 n. 80, e cioè di un sistema di protezione non universale, bensì chiuso a determinate categorie di persone, eventi e situazioni, selezionate dal legislatore ordinario – ha osservato la Corte - ha subito una profonda evoluzione, ad opera dello stesso legislatore, della giurisprudenza costituzionale e di quella ordinaria, che ha profondamente mutato il significato normativo di fondamentali categorie concettuali e previsioni testuali, al fine di renderle coerenti con il successivo dettato costituzionale degli artt. 38 2° comma e 3 Cost., posti a base di numerose sentenze di accoglimento della Corte Costituzionale, e che comunque valgono come criterio ermeneutico costituzionale.

L'impostazione originaria individuava gli eventi protetti attraverso diverse coordinate, delle quali prevalenti erano quella soggettiva, attinente alle categorie tutelate, e quella oggettiva, relativa agli eventi protetti. La coordinata soggettiva la quale, attraverso l'esplicita riserva della tutela al lavoro operaio (D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e r.d. 31 gennaio 1904, n. 51) e poi attraverso il requisito della manualità (art. 4 D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124) escludeva gli impiegati ed i dirigenti, è venuta meno a seguito della interpretazione adeguatrice della Suprema Corte (Sez. Un. 14 aprile 1994 n. 3476). Il limite oggettivo delle attività protette, pur permanendo, ha subito una profonda evoluzione. La teoria del rischio professionale, elaborata sul finire del secolo scorso nell'ambito della dottrina civilistica, quale prospettiva di radicale revisione del principio dell’imputazione per colpa dell'obbligo risarcitorio, e quindi per superare i limiti della responsabilità civile dell’esercente attività produttive intrinsecamente pericolose, costituiti dai principi romanistici del “qui jure suo utitur neminem ledit” e “casus fortuitus a nullo prestatur”, e divenuta quindi, per l'insufficienza pratica di quei rimedi civilistici parcellari, pur concettualmente corretti, l'esatto fondamento giustificativo dell' assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro, deve essere estesa ed intesa, dopo l'avvento della Carta Costituzionale, altresì come esigenza di tutela del rischio professionale del lavoratore nello svolgimento delle attività cui lo stesso è obbligato in esecuzione del contratto di lavoro, quale oggetto principale di esso o quali attività connesse o comunque implicate.

La Corte Costituzionale - nel convalidare la scelta del sistema assicurativo-sociale - ha ripetutamente affermato la perdurante centralità, nell'ambito della tutela per gli infortuni sul lavoro e le tecnopatie, del rischio professionale, quale rischio derivante al prestatore dallo svolgimento della propria attività lavorativa (Corte Cost. 27 luglio 1989 n. 462). In tale prospettiva, la Corte Costituzionale ha precisato che oggetto della tutela previdenziale contro gli infortuni non è «la pericolosità dell’attività considerata, concretamente misurabile secondo un certo grado di probabilità statistica, bensì l'attività per sé stessa, in quanto connotata da indici tipici, “essendo il sistema assicurativo-sociale basato non sul rischio concreto derivante dalle singole lavorazioni (con conseguente esclusione della necessità di provare la mancanza di pericolosità della macchina o della lavorazione), ma sulle attività protette, con conseguente distacco dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro dal concetto statistico assicurativo di rischio al quale era originariamente legata”(Corte Cost. 2 marzo 1991 n. 100). Alla luce di tali principi costituzionali, la Cassazione ha ripetutamente precisato il significato normativo degli artt. 1 e 2 D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, nel senso che il requisito della tipicità va riferito alla situazione lavorativa protetta, non al nesso eziologico tra singola causa lesiva e lesione, affermando che il requisito dell'occasione di lavoro implica la rilevanza di ogni esposizione a rischio ricollegabile allo svolgimento dell'attività lavorativa in modo diretto o indiretto, con il solo limite del rischio elettivo o della totale estraneità del rischio - che non si richiede essere tipico o normale - all'attività lavorativa.


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