Legge e giustizia: venerdì 26 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

LA SOSPENSIONE DEI DIPENDENTI DAL LAVORO PUÒ ESSERE DISPOSTA UNILATERALMENTE IN CASO DI LEGITTIMO IMPEDIMENTO O DI CONCESSIONE DEL TRATTAMENTO DI CASSA INTEGRAZIONE - Essa deve essere attuata con le modalità stabilite dagli accordi sindacali (Cassazione Sezione Lavoro n. 13761 del 9 dicembre 1999, Pres. Sciarelli, Rel. Picone).

La Fiat Auto S.p.A. ha concluso, nel giugno del 1993, un accordo con le organizzazioni sindacali per il collocamento in Cigs di un gruppo di dipendenti; l’accordo prevedeva che per ogni lavoratore la durata della sospensione dal lavoro non dovesse eccedere un mese. Il 18 gennaio ‘94 la Fiat Auto S.p.A. ha comunicato ad alcuni lavoratori il collocamento in Cigs per 23 settimane. Successivamente, in seguito alla reazione del sindacato, essa ha riammesso in servizio i lavoratori il 12 febbraio 1994. Gli stessi dipendenti hanno promosso davanti al Pretore di Milano un giudizio diretto ad ottenere la condanna dell’azienda al risarcimento del danno per essersi resa inadempiente all’accordo del giugno ‘93 comunicando loro la sospensione per 23 settimane anziché per un mese come concordato con i sindacati. La Fiat si è difesa sostenendo di non potere essere ritenuta inadempiente dal momento che aveva richiamato in servizio i lavoratori prima del decorso di un mese di sospensione. Il Pretore ha accolto il ricorso, ma la sua decisione è stata integralmente riformata in grado di appello dal Tribunale di Milano che ha ritenuto priva di fondamento la domanda dei lavoratori. Il Tribunale ha osservato che certamente la sospensione, essendo stata disposta originariamente per la durata di 23 settimane, violava l’accordo sindacale del giugno '93 nella parte in cui questo consentiva soltanto sospensione di durata non superiore a 30 giorni, ma l’originaria decisione non aveva avuto esecuzione effettiva e la sospensione era durata per un tempo inferiore a un mese; pertanto, secondo il Tribunale, il comportamento della società non era apprezzabile in termini di inadempimento.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 13761 del 9 dicembre 1999, Pres. Sciarelli, Rel. Picone) ha rigettato il ricorso dei lavoratori, in quanto ha ritenuto che l’iniziale inadempienza dell’azienda sia rimasta priva di effetti. Con riferimento a questa vicenda la Corte ha riepilogato, nella motivazione della sua sentenza, i principi fondamentali da essa costantemente affermati in materia di sospensione dal lavoro per collocamento in Cigs. Il datore di lavoro che rifiuti la prestazione lavorativa senza che ricorra un legittimo impedimento – ha affermato la Corte - è tenuto ugualmente a corrispondere la retribuzione e, più in generale, a sopportare gli effetti che la legge collega alla “mora credendi” (art. 1206 e seg. e.c.), salvo che il potere di sospendere la funzionalità di fatto del rapporto di lavoro non gli sia stato conferito in via contrattuale oppure dal provvedimento dell'autorità concessivo della cassa integrazione guadagni, sia ordinaria che straordinaria. Con riguardo specifico a quest'ultima evenienza, la giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere riservata al solo imprenditore la legittimazione ad attivare l'intervento della Cassa, sicché gli effetti derogatori del regime ordinario del rapporto di lavoro non nascono da un accordo, individuale o collettivo, modificativo del contratto di lavoro, derivando dal carattere imperativo dell'atto dell'autorità il potere unilaterale del datore di lavoro di sospensione dei singoli lavoratori da collocare in cassa integrazione guadagni, anche se connotato da limiti interni (coerenza con le finalità tipiche dell'istituto che giustificano l'attribuzione del potere) ed esterni (divieto di atti discriminatori ed obbligo di osservare i precetti generali di correttezza e buona fede). Lo schema unilaterale, ha ulteriormente precisato la stessa giurisprudenza, non è alterato dall'eventuale accordo intervenuto fra l'imprenditore e le organizzazioni sindacali all'esito della procedura di consultazione prevista dall'art. 5 L. 20 maggio 1975, n. 164, al quale viene negata natura contrattuale in quanto mero accordo endoprocedimentale che interviene nel corso del procedimento amministrativo concessorio.

Tuttavia non si esclude che possano intervenire ulteriori specifiche pattuizioni aventi per oggetto la disciplina dell'esercizio del potere imprenditoriale, mediante determinazione dei criteri di scelta dei singoli lavoratori o della durata della sospensione, le quali concretano un vero e proprio contratto collettivo normativo, comportando una limitazione del potere dell'imprenditore e la contestuale nascita di diritti soggettivi in capo al singolo lavoratore. E' appunto questo ha osservato la Corte - che è accaduto nella vicenda in esame secondo l'accertamento in – fatto compiuto nel giudizio di merito. L'imprenditore, quindi, era obbligato ad esercitare il potere conferitogli dal provvedimento di concessione della Cigs secondo modalità tali da non sospendere il singolo dipendente per un periodo di tempo superiore al mese. Una sospensione di maggiore durata avrebbe, quindi, concretato inadempimento dell'accordo, con la conseguenza di obbligare l'imprenditore ad accettare le prestazioni alla scadenza del periodo massimo consentito. Alla scadenza della durata massima consentita, quindi, i lavoratori avrebbero avuto diritto al ripristino della funzionalità di fatto del rapporto e l’eventuale rifiuto del datore di lavoro lo avrebbe posto in situazione di “mora credendi”. Così non è stato perché i lavoratori sono stati riammessi al lavoro prima della scadenza del termine massimo, sicchè – ha concluso la Corte - correttamente la sentenza impugnata ha escluso che si potesse configurare oggettivamente l’inadempimento che avrebbe dato titolo al risarcimento del danno in forma specifica o per equivalente.


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