Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

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LA DICHIARAZIONE DI NON AVER NULLA A PRETENDERE INSERITA IN UNA QUIETANZA NON HA NATURA TRANSATTIVA - Convincimento soggettivo (Cassazione Sezione Lavoro n. 8606 del 2 maggio 2016, Pres. Nobile, Rel. Manna).

L'atto con il quale il lavoratore dichiara di non aver nulla a pretendere, a seguito della corresponsione di una determinata somma di denaro, non può considerarsi, per ciò solo, una rinunzia a tutti i diritti scaturenti dal rapporto di lavoro, in quanto tale locuzione è estremamente generica e non sempre è in grado di richiamare l'attenzione del lavoratore sui molteplici diritti che scaturiscono dal rapporto medesimo. Ne consegue che non può assumere natura di transazione e non è identificabile come la "reciproca concessione" di cui all'art. 1965 c.c. la quietanza liberatoria sottoscritta dal lavoratore, la cui natura giuridica è quella di atto giuridico in senso stretto, mentre la rinuncia e la transazione sono negozi. La rinuncia del lavoratore presuppone, per la propria validità ed efficacia, che questi abbia l'esatta rappresentazione dei diritti di credito di sua spettanza, che sia perfettamente consapevole che nulla ne infici la legittimità e che, ciò nonostante, volontariamente intenda privarsi della totale o parziale realizzazione delle varie ragioni creditorie, specificamente determinate o almeno determinabili. In breve, la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa deve essere intesa, di regola, come semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti e, pertanto, alla stregua di una dichiarazione di scienza priva di efficacia negoziale. Pur vero che è possibile ravvisare gli estremi di un negozio di rinunzia o transazione ove, per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione o desumibili aliunde, risulti che la parte l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti (cfr., per tutte e da ultimo, Cass. n. 18094/15). Nondimeno, si tratta d'un accertamento che richiede una ricostruzione in punto di fatto e un apprezzamento di significato riservati al giudice di merito (cfr., ex aliis, Cass. n. 19831/13; Cass. n. 1657/08), censurabili in sede di legittimità soltanto per vizi della motivazione o per violazione dei criteri dell'ermeneutica contrattuale.


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