Legge e giustizia: sabato 20 aprile 2024

Pubblicato in : Giudici avvocati e processi

IL GIUDICE NON PUO' DECIDERE IN BASE A UNA QUESTIONE RILEVATA D'UFFICIO, SENZA AVERLA PREVIAMENTE SOTTOPOSTA ALLE PARTI - Garanzia del diritto di difesa (Cassazione Sezione Lavoro n. 10353 del 19 maggio 2016 Pres. Mammone, Rel. Manna).

Il principio del contraddittorio, già sancito dall'art. 101 c.p.c., è stato ulteriormente rafforzato dall'introduzione nello stesso articolo di un co. 2° (ad opera della legge 18.6.09 n. 69, di riforma del processo civile), che così recita: "Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d'ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione". Si tratta di norma di carattere generale, concernente anche il rito del lavoro. La novella legislativa ha, dunque, esteso anche ai gradi di merito il principio formalizzato, per il giudizio di cassazione, dall'art. 384 co. 3° c.p.c., come novellato dall'ad. 12 d.lgs. 2.2.06 n. 40. In altre parole il giudice non può decidere la lite in base ad una questione rilevata d'ufficio senza averla previamente sottoposta alle parti, al fine di provocare sulla stessa il contraddittorio e consentire lo svolgimento delle difese in relazione al mutato quadro della materia del contendere. Diversamente, risulterebbero violati i diritti di difesa per mancata realizzazione del contraddittorio. In conclusione, il quadro sistematico di riferimento (legislativo e giurisprudenziale) è ormai chiaro e coerente nel prevedere che i rilievi d'ufficio devono avvenire in modo da provocare il contraddittorio sulla relativa questione e, quindi, mai "a sorpresa" (cioè solo nella motivazione della sentenza). Ma l'ambito delle questioni rilevabili d'ufficio per le quali si pone l'obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio, ovvero per le quali esiste il divieto della sentenza della "terza via", si estende solo a questioni di fatto od eccezioni rilevabili d'ufficio, non anche ad una diversa valutazione del materiale probatorio (con conseguente correzione della motivazione che, come è noto, può avvenire sia in appello che in sede di legittimità).


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