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Legge e giustizia: sabato 20 aprile 2024
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IL LAVORATORE CHE, SENZA AVERNE I REQUISITI, SI DIMETTA PER ANDARE IN PENSIONE SULLA BASE DI ERRONEE INFORMAZIONI FORNITEGLI DALL'INPS HA DIRITTO AL RISARCIMENTO DEL DANNO - Tutela dell'affidamento (Cassazione Sezione Lavoro n. 8604 del 2 maggio 2016, Pres. Venuti, Rel. Doronzo).
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La Corte di Appello di Torino,
con sentenza depositata in data 10/12/2009, ha confermato la sentenza resa dal
Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda proposta da Franco
Gastaldi, avente ad oggetto la condanna dell'Inps al risarcimento del danno
derivatogli dalla mancata percezione del trattamento pensionistico per il
periodo dall'aprile 2006 all'ottobre 2007, in conseguenza dell'erronea
comunicazione della sua situazione contributiva da parte dell'Istituto circa il
numero dei contributi accreditatigli. La Corte del merito, a fondamento della
sua decisione, ha posto la considerazione che il prospetto contributivo, sul
quale l'assicurato aveva fatto affidamento per ritenere perfezionati i
requisiti contributivi necessari per la pensione, non aveva valore
certificativo ai sensi dell'art. 54 della legge n. 88/1989, trattandosi di una
semplice "videata di computer, senza alcuna sottoscrizione da parte del
funzionario responsabile, senza riferimento alla legge n. 88/1989", priva
di indicazioni circa la data alla quale, con quel numero di contributi
settimanali, il ricorrente avrebbe maturato il diritto alla pensione di
anzianità. Aggiunge inoltre che l'estratto conto risale al novembre 2001,
laddove la domanda di pensione era stata presentata nel 2006, sicché, in
considerazione del lungo arco temporale, il lavoratore "ben avrebbe
fatto a richiedere un nuovo estratto contributivo con requisiti
certificativi" prima di accettare la risoluzione del rapporto di lavoro.
Il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte con sentenza n.
8604 del 2 maggio 2016 (Pres.Venuti, Rel. Doronzo) ha accolto il ricorso. Questa
Corte - ha ricordato la Cassazione - ha avuto modo di esaminare il caso di
lavoratori che avevano rassegnato le dimissioni sul presupposto, poi rivelatosi
errato, di avere maturato i requisiti di anzianità necessari per beneficiare
della pensione, dopo avere esaminato gli estratti conto provenienti dall'INPS attestanti
il raggiungimento di un numero di contributi utile a tal fine. In tali casi, ha
affermato che il lavoratore indotto alle dimissioni da colpevole comportamento
dell'INPS ha diritto al risarcimento del danno in un importo commisurabile a
quello delle retribuzioni perdute fra la data della cessazione del rapporto di
lavoro e quella dell'effettivo conseguimento della detta pensione, in forza del
completamento del periodo di contribuzione a tal fine necessario, ottenuto col
versamento di contributi volontari, da sommarsi a quelli obbligatori
anteriormente accreditati (ex plurimis, Cass., 10 novembre 2008, n.
26925, in cui si è statuito che, in caso di erronea comunicazione al
lavoratore, da parte dell'Inps, della posizione contributiva utile al
pensionamento, l'ente risponde del danno derivatone per inadempimento
contrattuale, salvo che provi l'estraneità della causa dell'errore alla sua
sfera di controllo e l'inevitabilità del fatto impeditivo nonostante
l'applicazione della normale diligenza; Cass. 24 aprile 2004, n. 7859; Cass.,
24 gennaio 2003, n. 1104). Si è in particolare evidenziato l'obbligo che fa
carico all'Istituto, ai sensi della L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 54, di
comunicare all'assicurato che ne faccia richiesta, i dati relativi alla propria
situazione previdenziale e pensionistica ("è fatto obbligo agli enti
previdenziali di comunicare, a richiesta esclusiva dell'interessato o di chi ne
sia da questi legalmente delegato o ne abbia diritto ai sensi di legge, i dati
richiesti relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica";
l'ultimo periodo di questa norma dispone che: "La comunicazione da
parte degli enti ha valore certificativo della situazione in essa
descritta"). Si è poi
qualificata la responsabilità dell'Ente come contrattuale, in quanto si tratta
di obbligazione di origine legale attinente ad un rapporto intercorrente tra
due parti, con la conseguente applicabilità dell'art. 1218 cod.civ. Questa
norma pone espressamente a carico del debitore la prova che l'inadempimento è
stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui
non imputabile, prova che esige la dimostrazione dello specifico impedimento
che ha reso impossibile la prestazione (Cass. 19 febbraio 2004, n. 3294). Ne
deriva che, nell'ipotesi in cui l'INPS abbia comunicato all'assicurato una
indicazione erronea del numero dei contributi versati, il danneggiato non ha
l'onere di provare la colpa o il dolo dell'autore dell'illecito.
Deve tuttavia
osservarsi che, al di là della specifica richiesta dell'interessato diretta ad
ottenere la certificazione dell'Istituto, e dunque della diretta applicabilità
al caso di specie della legge n. 88 del 1989, art. 54, l'affidamento di un
iscritto all'ente previdenziale pubblico merita comunque tutela. L'art. 54 della
legge n. 88/89 opera sull'esclusivo versante del potere certificativo
riconosciuto all'Istituto previdenziale e sul conseguente valore probante del
certificato rilasciato nell'esercizio di siffatto potere, mentre nella specie
viene in evidenza l'esercizio dei poteri autoritativi dell'INPS e la connessa
attendibilità delle informazioni fornite e l'affidamento che su di esse il
cittadino ripone proprio perché provenienti dal soggetto pubblico cui è
demandata la fondamentale funzione di assicurare la realizzazione della tutela
previdenziale ed assistenziale costituzionalmente garantita come un diritto
fondamentale della persona (in tal senso, Cass., 8 settembre 2015, n. 17773,
non massimata). Il principio della tutela del legittimo affidamento del
cittadino - ha affermato la Corte - è immanente in tutti i rapporti di diritto
pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue
diverse articolazioni limitandone l'attività legislativa e amministrativa (v.,
per recenti applicazioni in materia tributaria, Cass. 17 aprile 2013, n. 9308;
v. pure Cass., 1 marzo 2012, n. 3195). Esso trova la sua base costituzionale
nel principio di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge (art. 3 Cost.). In particolare, la pubblica amministrazione è
gravata - anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona
fede (artt. 1175 e 1375 c.c.), applicabili alla stregua dei principi di
imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost. (Cass., 10 dicembre
2002, n. 17576) - dell'obbligo di non frustrare la fiducia di soggetti titolari
di interessi indisponibili, fornendo informazioni errate o anche
dichiaratamente approssimative. Informazioni di tale natura devono ritenersi
non conformi a correttezza, in quanto rese da enti pubblici dotati di poteri di
indagine e certificazione, nonché incidenti su interessi al conseguimento e
godimento di beni essenziali della vita, come quelli garantiti dall'art. 38
Cost..
Tale situazione ricorre in qualunque ipotesi in cui la Pubblica Amministrazione
fornisce notizie o comunicazioni errate relative alla posizione di un
amministrato e, dunque, pure nel caso che, sebbene non sia richiesta (e
rilasciata) una vera propria certificazione L. n. 88 del 1989, ex art. 47, informazioni relative alla
posizione di un assicurato siano contenute in un altro documento rilasciato
dalla P.A., quale un estratto conto assicurativo. Né vale ad escludere la
responsabilità dell'Istituto la circostanza dell'assenza di sottoscrizione
dell'estratto conto, cui fa cenno la sentenza impugnata. Al riguardo è,
sufficiente osservare che gli estratti contributivi su moduli a stampa
rilasciati dall'INPS sono la riproduzione di un documento elettronico e come
tali non abbisognano, per spiegare i loro effetti, di alcuna sottoscrizione,
per cui, ancorché privi di firma del funzionario INPS che ne attesti la
provenienza, fanno piena prova dei fatti in essi rappresentati, ossia della
corrispondenza tra i dati ivi riportati e le registrazioni risultanti dagli
archivi elettronici (cfr. Cass., 24 marzo 2003, n. 4297). L'assenza di valore
certificativo del documento, in quanto non emesso all'esito di un procedimento
amministrativo all'uopo specificamente avviato su richiesta formale
dell'interessato, non costituisce dunque causa di esonero dalla responsabilità
gravante sull'INPS.
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