Legge e giustizia: giovedì 18 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

L'APPALTO ENDOAZIENDALE PUO' COMPORTARE L'INSTAURAZIONE DI UN RAPPORTO DI LAVORO TRA IL COMMITTENTE E I DIPENDENTI DELL'APPALTATORE - Organizzazione e controllo (Cassazione Sezione Lavoro n. 9288 del 9 maggio 2016 Pres. Napoletano, Rel. Berrino).

Con sentenza del 17/10-19/12/12, la Corte d'Appello di Torino ha rigettato l'impugnazione proposta dalla società Rai Radiotelevisione Italiana s.p.a. avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra tale società e Mario F. a decorrere dal 17/1/1994. La Corte territoriale ha spiegato che nella fattispecie era ravvisabile una ipotesi di interposizione illecita di manodopera ai sensi dell'art. 1, comma 1, della legge n. 1369/1960, in quanto era emerso che Mario F., in qualità di socio-lavoratore della società cooperativa Estense, era stato messo a disposizione della committente società radiotelevisiva che esercitava su di lui ogni potere organizzativo e di controllo tipico del datore di lavoro. Per la cassazione della sentenza la società Rai - Radiotelevisione Italiana s.p.a. ha proposto ricorso con due motivi.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 9288 del 9 maggio 2016 Pres. Napoletano, Rel. Berrino) ha rigettato il ricorso. Il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (art. 1 legge 23 ottobre 1960, n.1369), in riferimento agli appalti "endoaziendali", caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente - ha osservato la Corte - opera tutte le volte in cui l'appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore - datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo." (in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 16788 del 21/7/2006 in cui, con riferimento agli appalti cosiddetti "endoaziendali", si è ribadito che il richiamato divieto di cui all'art. 1 della legge n. 1369 del 1960 opera tutte le volte in cui l'appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all'appaltatore stesso i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto, ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo). Ebbene - ha osservato la Cassazione - la Corte territoriale ha potuto accertare, all'esito dell'istruttoria svolta, che ciò che costituiva l'oggetto della fornitura nei confronti della committente azienda radiotelevisiva era la semplice messa a disposizione delle energie lavorative del medesimo appellato, il quale risultava essere inserito stabilmente nell'organizzazione aziendale della committente, non essendo emerso in alcun modo, da tutto il complesso istruttorio, che la cooperativa intervenisse sulle modalità e sui termini di svolgimento delle prestazioni lavorative rese dal suo socio, con il quale intratteneva solo un rapporto di tipo amministrativo, non sufficiente di per sé ad escludere la sussistenza di una interposizione vietata. In particolare, la stessa Corte ha potuto appurare, con indagine di fatto sottratta al giudizio di legittimità, che alla cooperativa, della quale era socio lavoratore Mario F., non era affidato il complessivo servizio di gestione del magazzino, destinato a restare saldamente nella sfera imprenditoriale e gerarchica della RAI, ma le si chiedeva solo di fornire le braccia destinate ad operare alle dipendenze e sotto la direzione della Baldo, dipendente RAI responsabile del magazzino. Invero, ha aggiunto la Corte, le testimonianze raccolte avevano confermato che il lavoro di Mario F. avveniva sulla base di direttive quotidianamente impartite dal responsabile del magazzino, dipendente dell'azienda committente RAI, e in tutto questo l'assenza della cooperativa dalla fase organizzativa e di controllo delle prestazioni lavorative del suo socio era un dato di fatto assolutamente inoppugnabile.

Pertanto, la motivazione offerta dalla Corte territoriale non presta il fianco alla presente censura di violazione di legge dal momento che il medesimo organo giudicante ha mostrato di aver tenuto ben presenti quelli che sono i principi in materia di appalto di manodopera o di mere prestazioni di lavoro nel pervenire al convincimento, adeguatamente motivato ed esente da rilievi di legittimità, della illiceità dell'appalto nel caso di specie con specifico riferimento alla posizione di Mario F.. Non va, infatti, dimenticato che la nozione di appalto di manodopera o di mere prestazioni di lavoro, vietato dall'art. 1 della legge n. 1369 del 1960, in mancanza di una definizione normativa, va ricavata tenendo anche conto della previsione dell'art. 3 della stessa legge concernente l'appalto (lecito) di opere e servizi all'interno dell'azienda con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore; ne consegue che l'ipotesi di appalto di manodopera è configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal terzo comma del citato art. 1 (impiego di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante), sia quando il soggetto interposto manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un'autonoma organizzazione - da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli -, in particolare nel caso di attività esplicate all'interno dell'azienda appaltante, sempre che il presunto appaltatore non dia vita, in tale ambito, ad un'organizzazione lavorativa autonoma e non assuma, con la gestione dell'esecuzione e la responsabilità del risultato, il rischio di impresa relativo al servizio fornito.


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