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Legge e giustizia: venerd́ 29 marzo 2024
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IL LAVORATORE CHE IMPUGNI IL LICENZIAMENTO PUO' MANIFESTARE LA DISPONIBILITA' AD ESSERE REINTEGRATO IN MANSIONI DEQUALIFICANTI - Dando indicazioni ai fini della ricollocazione (Cassazione Sezione Lavoro n. 10018 del 16 maggio 2016, Pres. Nobile, Rel. Di Paolantonio).
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Giacomina A. dipendente
dell'Opera Don Orione è stata licenziata il 24.8.2012 perché affetta da
patologie che non le consentivano di svolgere le mansioni di addetta alla cura
dei piccoli ospiti della struttura cui era addetta. La lavoratrice si è rivolta
al Tribunale di Tortona, che in sede di opposizione alla ordinanza emessa nella
fase sommaria, ha dichiarato illegittimo il licenziamento ordinando la
reintegrazione della lavoratrice, in quanto ha ritenuto che la datrice di
lavoro avrebbe dovuto valutare la possibilità di reimpiego di Giacomina A. con
mansioni inferiori. Entrambe le parti hanno proposto reclamo davanti alla Corte
di Appello di Torino, che ha accolto l'impugnazione proposta dall'Opera Don
Orione, in quanto ha ritenuto che la possibilità di reimpiego in altre sedi e
in mansioni inferiori del lavoratore, divenuto fisicamente incapace, debba
essere valutata dal datore di lavoro solo qualora ci sia stata una
manifestazione di volontà in tal senso da parte dello stesso lavoratore,
anteriore o coeva al licenziamento. La lavoratrice ha proposto ricorso per
Cassazione censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che
la possibilità del reimpiego in altre sedi e in mansioni inferiori del
lavoratore, divenuto fisicamente incapace, debba essere valutata dal datore di
lavoro solo qualora ci sia stata una manifestazione di volontà in tal senso da
parte dello stesso lavoratore, anteriore o coeva al licenziamento.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro
n. 10018 del 16 maggio 2016, Pres. Nobile, Rel. Di Paolantonio) ha accolto il
ricorso dopo aver compiuto un ampio
esame della giurisprudenza di legittimità. Essa ha ricordato che le Sezioni
Unite della Suprema Corte (Cass. S.U. 7 agosto 1998 n. 7755), a composizione
dei contrasti di giurisprudenza esistenti sulla questione, hanno affermato che
la sopravvenuta infermità permanente e la conseguente impossibilità della
prestazione lavorativa possono giustificare oggettivamente il recesso del
datore di lavoro dal rapporto di lavoro subordinato, ai sensi della L. n. 604
del 1966, artt. 1 e 3 (normativa specifica in relazione a quella generale dei contratti
sinallagmatici di cui agli artt. 1453, 1455, 1463 e 1464 c.c.), a condizione
che risulti ineseguibile l'attività svolta in concreto dal prestatore e che non
sia possibile assegnare il lavoratore a mansioni equivalenti ai sensi dell'art.
2103 c.c. ed eventualmente inferiori, in difetto di altre soluzioni. E' stato
evidenziato, al riguardo, che, nell'ipotesi di licenziamento per sopravvenuta
inidoneità fisica del lavoratore, il giustificato motivo oggettivo consiste non
soltanto nella fisica inidoneità del lavoratore all'attività attuale, ma anche
nell'inesistenza in azienda di altre attività (anche diverse, ed eventualmente
inferiori) compatibili con lo stato di salute del lavoratore ed a quest'ultimo
attribuibili senza alterare l'organizzazione produttiva, onde spetta al datore
di lavoro convenuto in giudizio dal lavoratore in sede di impugnativa del licenziamento
fornire la prova delle attività svolte in azienda, e della relativa inidoneità
fisica del lavoratore o dell'impossibilità di adibirlo ad esse per ragioni di organizzazione
tecnico - produttiva, fermo restando che, nel bilanciamento di interessi
costituzionalmente protetti (artt. 4, 32 e 36 Cost.), non può pretendersi che
il datore di lavoro, per ricollocare il dipendente non più fisicamente idoneo, proceda
a modifiche delle scelte organizzative escludendo, da talune posizioni lavorative,
le attività incompatibili con le condizioni di salute del lavoratore. Detti
principi sono stati, poi, ribaditi nelle successive pronunce della Suprema Corte,
con le quali si è anche precisato che l'assegnazione a mansioni inferiori del
lavoratore divenuto fisicamente inidoneo costituisce un adeguamento del contratto
alla nuova situazione di fatto, adeguamento che deve essere sorretto, oltre che
dall'interesse, dal consenso del prestatore sicché "il datare di lavoro è tenuto a giustificare oggettivamente il recesso
anche con l'impossibilità di assegnare mansioni non equivalenti nel solo caso
in cui il lavoratore abbia, sia pure senza forme rituali, manifestato la sua
disponibilità ad accettarle" (Cass. 2.7.2009 n. 15500 e negli stessi
termini Cass. 2.8.2013 n. 18535). In sintesi, dunque - ha affermato la Corte -
poiché la inidoneità del prestatore giustifica il recesso solo nell'ipotesi in
cui le energie lavorative residue non possano essere utilizzate altrimenti
nell'impresa, anche in mansioni inferiori, il datore, prima di intimare il licenziamento,
è tenuto a ricercare possibili soluzioni alternative e, ove le stesse comportino
l'assegnazione a mansioni inferiori, a prospettare al prestatore il demansionamento,
divenendo libero di recedere dal rapporto solo qualora la soluzione alternativa
non venga accettata. Non si può, invece, sostenere che l'iniziativa finalizzata
alla conclusione del patto debba provenire dal lavoratore. Se l'impossibilità
del reimpiego, anche in mansioni inferiori, è condizione necessaria per
legittimare l'esercizio del potere di recesso, è onere del soggetto che quel
potere si appresta ad esercitare accertare che ne sussistano presupposti e,
quindi, prospettare al prestatore la scelta fra l'accettazione del demansionamento
e la risoluzione del rapporto. In altri termini, i principi di correttezza e di
buona fede, nonché il bilanciamento degli interessi costituzionali richiamati
nella citata pronuncia delle Sezioni Unite, inducono a ritenere che, ove siano
disponibili posizioni lavorative "dequalificanti", il licenziamento
sia reso legittimo dalla mancanza di consenso del lavoratore alla offerta del
datore, il quale non è esonerato dall'obbligo di ricercare soluzioni alternative,
eventualmente comportanti il demansionamento, per il solo fatto che il
lavoratore non gli abbia, di sua iniziativa, manifestato la disponibilità ad
andare a ricoprire mansioni inferiori compatibili con il suo stato di salute. Le
considerazioni che precedono - ha rilevato la Corte - valgono anche per
l'ipotesi in cui il datare di lavoro gestisca più sedi o unità produttive. In
tal caso, infatti, l'obbligo del reimpiego potrà dirsi adempiuto solo qualora
le energie lavorative residue non siano utilizzabili in altre sedi, con la
conseguenza che, ove altrove siano vacanti posizioni lavorative compatibili con
lo stato di salute del lavoratore, è onere del datore prospettare al lavoratore
la possibilità del trasferimento ed il recesso, che costituisce una extrema
ratio, sarà validamente esercitato in caso di rifiuto. I principi affermati
incidono, poi, anche sulla delimitazione degli oneri di allegazione che gravano
sul lavoratore il quale contesti la legittimità del licenziamento; sebbene
gravi sul datare di lavoro l'onere della prova della impossibilità del
reimpiego, si deve esigere dal lavoratore che impugni il licenziamento una
collaborazione nell'accertamento del possibile repechage, mediante la
allegazione dell'esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva
essere utilmente ricollocato (cfr. fra le più recenti Cass. 3.3.2014 n. 4920).
Detta
allegazione deve anche riguardare le posizioni lavorative comportanti la dequalificazione
e deve essere accompagnata dalla manifestazione della disponibilità del
lavoratore ad andare a ricoprire mansioni di livello inferiore, eventualmente
anche in altre unità produttive (cfr. Cass. 15.11.2002 n. 16141). In tal caso
il datore di lavoro assolverà l'onere della prova sullo stesso gravante dimostrando,
nei limiti delle allegazioni della controparte, o la indisponibilità dei posti
lavorativi o di avere prospettato al lavoratore il demansionamento ed il trasferimento
senza ottenere il suo consenso. E' evidente, infatti - ha concluso la Corte -
che solo qualora il datore di lavoro abbia omesso di offrire le mansioni
inferiori prima di intimare il licenziamento, il lavoratore che detto licenziamento
impugni, può e deve manifestare la propria disponibilità ad essere reintegrato
nelle diverse mansioni, o nella diversa sede, e sollecitare una pronuncia
giudiziale in tal senso. Al contrario, ove antecedentemente al recesso, sia stato
manifestato, anche implicitamente, il dissenso ad una soluzione comportante il
mutamento di sede o di mansioni, detta manifestazione di volontà diviene
definitiva e non può essere revocata dopo la intimazione del licenziamento.
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