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Legge e giustizia: mercoledì 24 aprile 2024
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IL LICENZIAMENTO DI UN PUBBLICO IMPIEGATO PER AVERE SVOLTO ATTIVITA' PROSTITUTIVA NON HA NATURA DISCRIMINATORIA - Giusta causa (Cassazione Sezione Lavoro n. 12898 del 22 giugno 2016, Pres. Napoletano, Rel. Riverso).
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Cristiano B.
dipendente della Provincia di Verbania, è stato sottoposto a procedimento
disciplinare e successivamente licenziato in data 28.9.2011, con l'addebito di
avere esercitato attività prostitutiva utilizzando siti frequentati abitualmente
dalla comunità gay. Egli diffondeva annunci corredati da tariffario, rimborso
spese, supplemento per le riprese con telecamera e macchine fotografiche che ritraevano
il suo volto e si qualificava civil
servant. Il lavoratore ha impugnato il licenziamento davanti al Tribunale
di Verbania, sostenendone la nullità del licenziamento in quanto discriminatorio
perché fondato sull'orientamento sessuale. Egli ha chiesto la reintegrazione
nel posto di lavoro in base all'art. 18 St. Lav. e il risarcimento dei danni
subiti. L'Amministrazione si è difesa sostenendo che non v'è stata alcuna
discriminazione per sesso, in quanto l'impiegato era stato licenziato per aver
esercitato pubblicamente attività prostitutiva sia con omosessuali che con
eterosessuali recando grave pregiudizio all'immagine dell'ente. Il giudice ha
rigettato la domanda e la sua decisione è stata confermata, in grado di
appello, dalla Corte di Torino. Il lavoratore ha proposto ricorso per
cassazione censurando l'impugnata sentenza per violazione di legge.
La Suprema
Corte (Sezione Lavoro n. 12898 del 22 giugno 2016, Pres. Napoletano, Rel.
Riverso), ha rigettato il ricorso. Si è trattato - ha osservato la Corte - di
un licenziamento per giusta causa che punisce comportamenti tenuti dal
dipendente al di fuori dell'attività di lavoro ma ritenuti tali da influire
sugli obblighi discendenti dal rapporto. Esso non ha alcuna connotazione
discriminatoria, né diretta né indiretta; tanto meno con riferimento
all'orientamento sessuale. Come si legge nella contestazione disciplinare il
ricorrente è stato licenziato per avere esercitato attività prostitutiva (sia
essa omo o etero sessuale) e non per il suo orientamento sessuale. E' vero che
nella prima contestazione era stato addebitato al dipendente anche il discredito
causato alla Provincia ed alla PA nel suo complesso dalla dizione civil servant da egli utilizzata nella
descrizione della posizione occupazionale, sulla pagina del portale network gay romeo frequentato da persone
appartenenti alla comunità GLBT. Tuttavia, il provvedimento di licenziamento,
motivatamente assunto il 28.9.2011 non solo non fa più alcun riferimento a tale
diverso fatto, ma ne esclude espressamente la rilevanza affermando che "il comportamento del signor Cristiano B. è
lesivo dell'immagine dell'Ente, non ha nulla a che vedere con l'orientamento
sessuale di alcun dipendente ma risiede nella riprovazione sociale per
l'esercizio della prostituzione omo o etero sessuale". Di più - ha
rilevato la Corte - la stessa Provincia ha riconosciuto testualmente nella
determinazione del 28.9.2011 "l'assoluta
irrilevanza di quanto pubblicato da B.C. sul sito gay romeo.com." ed
ha inoltre precisato che la sanzione si riferisce esclusivamente all'annuncio
pubblicato sui siti escort. Ne discende pertanto che non sia possibile ancorare
il licenziamento ad alcun riferimento, neppure remoto, di natura discriminatoria;
in quanto lo stesso provvedimento ha sanzionato non l'orientamento sessuale del
dipendente professato in siti frequentati dalla comunità GLBT, ma
esclusivamente l'attività prostitutiva esercitata su altri siti, con danno per
la PA. Correttamente perciò la Corte ha affermato che il provvedimento aveva
fondamento solo nell'attività di prostituzione e non nell'orientamento sessuale
e nelle scelte personali del lavoratore. Anche il riferimento alla
discontinuità ed imprevedibilità della sua presenza in servizio effettuata nel
provvedimento di licenziamento non ha connotato discriminatorio; ed anche
l'associazione allusiva ad altra attività, non ha valenza discriminatoria.
Poiché la domanda azionata dal ricorrente attiene esclusivamente alla natura
discriminatoria del licenziamento, risultano inammissibili le doglianze che
fanno riferimento in questo giudizio alla insussistenza della giusta causa; né
può essere sindacata ora la proporzionalità della sanzione, posto che mai era
stato sollevato prima questo specifico profilo di illegittimità. Pertanto, non
può essere sindacato se l'attività di prostituzione effettivamente esercitata
dal dipendente tramite alcuni siti internet, possa di per sé ledere l'immagine
o il prestigio dell'Ente e della PA, come ritenuto dall'Ente pubblico e
confermato dalla Corte d'Appello, in quanto questa valutazione attiene alla
fondatezza della ragione addotta e non comporta nullità, perché non viola
alcuna ragione di discriminatorietà. Per le stesse ragioni, è pure ininfluente
valutare quale fosse la rilevanza della condotta del dipendente, l'entità del
discredito disceso nei confronti della pubblica amministrazione, in che misura
o meno i siti in discorso fossero accessibili a tutti oppure solo ad una utenza
selezionata; ovvero a persone maggiorenni che prestano specifica adesione
mediante apertura di un profilo personale riservato solo a coloro che ne sono
abbonati. Analogamente, quand'anche si ritenesse di censurare la legittimità
della affermazione della Corte d'Appello secondo cui dalla stessa attività
prostitutiva fosse derivato un automatico discredito, e si affermasse, invece,
che per le modalità con cui la stessa condotta fosse esercitata, per il fatto
che attenesse solo alla vita privata del dipendente, per le modalità di accesso
non automatico (o tutt'altro che facile) a tali siti e per la loro
settorialità; per il fatto che nessuna pubblica segnalazione ci fosse mai stata
e che la scoperta fosse avvenuta solo dietro lettera anonima; o anche perché
essa fosse in sé e per sé attività da ritenersi del tutto lecita o addirittura
socialmente rilevante (come pretende il ricorrente). E che pertanto - tutto
questo considerato - dalla medesima condotta del dipendente non fosse derivato
alcun pregiudizio alla PA; anche in tale ipotesi, non si potrebbe comunque
sostenere - ha affermato la Corte - che da ciò derivi la prova di una
identificabile ragione di discriminatorietà del licenziamento (come quella per
orientamento sessuale allegata a fondamento della domanda). Si tratterebbe
bensì di una valutazione che comporta illegittimità e mancanza della ragione
giustificativa addotta, ma che non conduce alla violazione di alcun divieto discriminatorio.
E dunque, seppure dovesse ritenersi che non sussista la giusta causa perché il
fatto fosse lecito o non grave, esso non sarebbe perciò solo discriminatorio; e
la domanda sarebbe comunque da respingere per carenza di specifica allegazione.
Infatti qualora il lavoratore agisca in giudizio deducendo il motivo
discriminatorio del licenziamento, l'eventuale carenza di giusta causa, pur
ricavabile da circostanze di fatto allegate, integra un ulteriore, e non già
compreso, motivo di illegittimità del recesso, come tale non rilevabile
d'ufficio dal giudice e neppure configurabile come mera diversa qualificazione
giuridica della domanda (cfr. Cass. Sez. Lav., Sentenza n. 13673 del
03/07/2015).
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