Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

NEL CASO DI LICENZIAMENTO INDIVIDUALE PER RAGIONI ORGANIZZATIVE IN RELAZIONE ALLA GENERICA ESIGENZA DI RIDUZIONE DI PERSONALE OMOGENEO, LA SCELTA DEL DIPENDENTE DA LICENZIARE E' LIMITATA, OLTRE CHE DAL DIVIETO DI ATTI DISCRIMINATORI, DALLE REGOLE DI CORRETTEZZA - A termini degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro n. 14021 dell'8 luglio 2016, Pres. Di Cerbo, Rel. Amendola).

La S.p.A. Grandi Trasporti Marittimi, avendo proceduto alla terziarizzazione del settore trasporti su strada, ha licenziato, con provvedimento individuale, l'autista Aureliano M. in data 2 ottobre 2012, affermando la necessità di por termine al rapporto di lavoro con sei autisti svolgenti mansioni omogenee, tra i quali il predetto dipendente. Il licenziato ha impugnato il recesso con il "rito Fornero" davanti al Tribunale di Cagliari che dapprima con ordinanza e successivamente con sentenza ha ritenuto ingiustificato il licenziamento perché la società non aveva operato le sue scelte circa il personale da licenziare alla stregua dei criteri di cui all'art. 5 della L. n. 223 del 1991 che, pur dettata per i licenziamenti collettivi, trovava applicazione analogica. Il Tribunale ha applicato l'art. 18 St. Lav. disponendo la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando l'azienda al risarcimento del danno. Questa decisione è stata confermata dalla Corte d'Appello di Cagliari con sentenza n. 426/2014. La società ha proposto ricorso per cassazione censurando la pronuncia della Corte cagliaritana per avere applicato ad un licenziamento individuale la normativa  prevista per il licenziamento collettivo e per avere comunque ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 14021 dell'8 luglio 2016, Pres. Di Cerbo, Rel. Amendola) ha ritenuto correttamente motivata la dichiarazione di illegittimità del licenziamento mentre ha accolto il ricorso nella parte concernente la reintegrazione nel posto di lavoro. Nel caso di licenziamento per ragioni inerenti l'attività produttiva e l'organizzazione del lavoro, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, per la giurisprudenza di questa Corte, allorquando il giustificato motivo oggettivo si identifica nella generica esigenza di riduzione di personale omogeneo e fungibile, la scelta del dipendente (o dei dipendenti) da licenziare per il datore di lavoro non è totalmente libera: essa, infatti, risulta limitata, oltre che dal divieto di atti discriminatori, dalle regole di correttezza cui deve essere informato, ex artt. 1175 e 1375 cod. civ., ogni comportamento delle parti del rapporto obbligatorio e, quindi, anche il recesso di una di esse (v. Cass. n. 7046 del 2011; Cass. n. 11124 del 2004; Cass. n. 13058 del 2003; Cass. n. 16144 del 2001; Cass. n. 14663 del 2001).

In questa situazione, pertanto, la stessa giurisprudenza si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta conforme ai dettami di correttezza e buona fede ed ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la L. n. 223 del 1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l'ipotesi in cui l'accordo sindacale ivi previsto non abbia indicato criteri di scelta diversi e, conseguentemente, prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico-produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti). In analoga prospettiva si è puntualizzato che il ricorso a detti criteri resti giustificato non tanto sul piano dell'analogia quanto piuttosto per costituire i criteri di scelta previsti dal predetto art. 5 della L. n. 223/91 uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo, unilaterale, potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale (cfr. Cass. n. 6667 del 2002 e giurisprudenza ivi citata in motivazione). Pertanto non è in grado di determinare la cassazione della sentenza impugnata il primo mezzo di gravame della società che, dolendosi genericamente dell'ingerenza nelle proprie decisioni organizzative, non spiega perché i giudici di merito avrebbero errato a ritenere violato il consolidato principio di legittimità in base al quale - a fronte dell'esigenza, derivante da ragioni inerenti all'attività produttiva, di ridurre di una o più unità il numero dei dipendenti dell'azienda - nella scelta del lavoratore licenziato, tra più lavoratori occupati in posizione di piena fungibilità, occorre rispettare le regole di correttezza di cui all'art. 1175 cod. civ..

Per quanto concerne l'applicazione dell'art. 18 St. Lav. la Suprema Corte ha ricordato che la legge n. 92 del 2012 graduando le tutele in caso di licenziamento illegittimo, ha previsto - per quanto qui interessa - al quarto comma del novellato art. 18 una tutela reintegratoria definita "attenuata" (per distinguerla da quella più incisiva di cui al primo comma), in base alla quale il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore ed al pagamento di una indennità risarcitoria dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, in misura comunque non superiore a dodici mensilità; al quinto comma dello stesso articolo è prevista, invece, una tutela meramente indennitaria per la quale il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore al pagamento di una indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici mensilità e un massimo di ventiquattro, tenuto conto di vari parametri contenuti nella disposizione medesima. La linea di confine tra le due tutele in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo è disegnata dal settimo comma dell'art. 18 novellato secondo la seguente formulazione testuale per cui il giudice: "Può altresì applicare la predetta disciplina (ndr. Quella di cui al quarto comma) nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma". Conclusivamente la Suprema Corte ha parzialmente cassato la sentenza della Corte cagliaritana, rimandando alla medesima, in diversa composizione e disponendo che essa "si uniformi a quanto statuito, dichiarando risolto il rapporto di lavoro tra le parti con effetto dalla data del licenziamento e determinando l'indennità risarcitoria tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo (art. 18, cc. 5, I. n. 300 del 1970)".


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