|
Legge e giustizia: venerd́ 19 aprile 2024
|
LA PROFESSIONALITA' E' UNO DEI PRINCIPALI PARAMETRI PER LA DETERMINAZIONE DEL VALORE DI UN DIPENDENTE SUL MERCATO DEL LAVORO - Anche ai fini del risarcimento del danno da demansionamento (Cassazione Sezione Lavoro n. 18717 del 23 settembre 2016, Pres. Nobile, Rel. Esposito).
|
Sandra D., dipendente della
Fondazione Teatro Comunale di Bologna, come segretaria in generale, con
qualifica di dirigente, nel volgere di un anno è stata privata di ogni mansione.
Ella ha chiesto al Tribunale di Bologna di condannare la Fondazione al
risarcimento del danno professionale oggettivo causato dal prolungato
allontanamento dalla mansione, sia in termini di danno professionale soggettivo
consistente nella lunga umiliazione pubblica e nella prolungata impossibilità
di realizzazione personale mediante il proprio lavoro. La domanda è stata
ritenuta infondata sia dal Tribunale che in grado di appello. La Corte di
Bologna ha rilevato che l'accertamento del demansionamento era superfluo, dal
momento che la lavoratrice non aveva allegato e prospettato il danno
derivatole, dovendosi escludere la configurabilità di un danno in sé. La
dirigente ha proposto ricorso per violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro
n. 18717, del 23 settembre 2016, Pres. Nobile, Rel. Esposito) ha accolto il
ricorso, con alcune precisazioni. Va rilevato - ha osservato la Corte - che la
ricostruzione sottesa al motivo di ricorso rimanda alla configurabilità di una
nozione di danno soggettivo alla professionalità, inteso come danno in re ipsa,
per ciò stesso non richiedente né allegazione né prova. Una simile ricostruzione
non può trovare adesione in quanto i numerosi arresti giurisprudenziali di
legittimità sul punto hanno ormai definitivamente chiarito che "il danno non patrimoniale, anche quando sia
determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, ... non è in re
ipsa, ma costituisce un danno conseguenza, che deve essere allegato e provato
da chi ne domandi il risarcimento" (per tutte Cass. Sez. 6 - 1, ordinanza n.
21865 del 24/09/2013, Rv. 627750, in fattispecie attinente a lesione al diritto
alla reputazione quale conseguenza di un ingiusto protesto). Tanto premesso, resta
però da valutare se sia possibile accertare l'esistenza di un danno risarcibile
nei confronti del lavoratore demansionato, in termini di danno sia soggettivo
che patrimoniale (al quale pure fa riferimento il ricorrente, al di là della
enunciazione contenuta in rubrica), individuabile e quantificabile non già come
danno in re ipsa, bensì come pregiudizio astrattamente dimostrabile in base a
idonei elementi presuntivi (in tal senso, in tema di danno patrimoniale risarcibile,
Cass. n. 22930 del 2015, rv. 637794), costituiti dall'esistenza effettiva del
demansionamento, dalla durata dello stesso, dalla sua entità in relazione alle
mansioni in precedenza svolte dal lavoratore. I suddetti elementi hanno
costituito oggetto di allegazione da parte della lavoratrice (come si evince dalla
parte espositiva della sentenza), a fondamento della pretesa attinente, tra l'altro,
al risarcimento "per danno alla
professionalità e alla figura professionale".
La Corte territoriale,
tuttavia - ha osservato la Cassazione - ha omesso di prendere in considerazione
le predette allegazioni, rifugiandosi in una sorta di affermazione
pregiudiziale di astratta irrilevanza di qualsiasi accertamento al riguardo. Va
richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di demansionamento,
secondo la quale "l'assegnazione a
mansioni inferiori pacificamente rappresenta fatto potenzialmente idoneo a
produrre una pluralità di conseguenze dannose, sia di natura patrimoniale che
di natura non patrimoniale Invero la violazione dell'art. 2103 c.c., può
pregiudicare quel complesso di
capacità e di attitudini definibile
con il termine professionalità, che è di certo bene economicamente valutabile,
posto che esso rappresenta uno dei principali parametri per la determinazione
del valore di un dipendente sul mercato del lavoro. Inoltre la modifica in
peius delle mansioni è potenzialmente idonea a determinare un pregiudizio a
beni di natura immateriale, anche ulteriori rispetto alla salute, atteso che,
nella disciplina del rapporto di lavoro, numerose disposizioni assicurano una
tutela rafforzata del lavoratore, con il riconoscimento di diritti oggetto di
tutela costituzionale, con la configurabilità di un danno non patrimoniale
risarcibile ogni qual volta vengano violati, superando il confine dei sacrifici
tollerabili, diritti della persona del lavoratore oggetto di peculiare tutela
al più alto livello delle fonti" (in tal senso Cass. n. 12253 del
12/06/2015, Rv. 635727). E' stato rilevato, altresì, come la Suprema Corte, a
Sezioni Unite (sent. Nn. 26972, 26973, 26974, 26975 dell'11 novembre 2008),
abbia dedicato adeguato rilievo alla dignità personale del lavoratore che, in
riferimento agli artt. 2, 4 e 32 Cost., costruisce come diritto inviolabile;
abbia descritto quale lesione di tale diritto proprio "i pregiudizi alla professionalità da dequalificazione, che si risolvano
nella compromissione delle aspettative di sviluppo della personalità del
lavoratore che si svolge nella formazione sociale costituita dall'impresa",
con la conseguenza che la lesione della posizione giuridica soggettiva connessa
alle mansioni assegnate al lavoratore è attribuita attitudine generatrice di
danni a contenuto non patrimoniale, "in
quanto idonea ad alterare la normalità delle relazioni del lavoratore con il
contesto aziendale in cui opera, del cittadino con la società in cui vive,
dell'uomo con se stesso" (così Cass. Sez. L, Sentenza n. 12253 del 2015 citata). E' stato affermato, inoltre, che il giudice "può desumere l'esistenza del danno, determinandone anche l'entità in
via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della
prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e
quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità
colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della
dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto (cfr., ex plurimis,
Cass. n. 19778 del 2014; Cass. n. 4652 del 2009; Cass. n. 28274 del 2008; Cass.
SS.UU. n. 6572/2006 cit.)".
Le argomentazioni richiamate - ha
concluso la Corte - inducono alla cassazione della decisione in relazione alla
statuizione con la quale la Corte territoriale ha rigettato la domanda
risarcitoria omettendo a priori ogni valutazione degli elementi di fatto offerti
dall'acquisita istruttoria, eventualmente indicativi della qualità e quantità della
esperienza lavorativa pregressa, del tipo di professionalità in precedenza espressa,
della durata del demansionamento e, di conseguenza, utili in funzione della
prova del danno in base a criteri presuntivi, in relazione al demansionamento
che la ricorrente assume di aver subito nel periodo 2000-2002. Va rimessa al
giudice del rinvio, pertanto, la considerazione dei suddetti elementi in un'ottica
di valutazione presuntiva del danno e in funzione di una eventuale liquidazione
equitativa del medesimo.
© 2007 www.legge-e-giustizia.it |
|