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Legge e giustizia: venerd́ 29 marzo 2024
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IL PUBBLICO IMPIEGATO HA DIRITTO ALL'ADEGUAMENTO DELLA RETRIBUZIONE SE SVOLGE MANSIONI SUPERIORI - In base all'art. 36 Cost. Rep. (Cassazione Sezione Lavoro n. 20545 del 12 ottobre 2016, Pres. Napoletano, Rel. Boghetich).
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La Corte Costituzionale ha
ripetutamente affermato l'applicabilità anche al pubblico impiego dell'art. 36
Cost. nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto ad una
retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non
ostando a tale riconoscimento, a norma dell'art. 2126 c.c.,
l'eventuale illegittimità del provvedimento di assegnazione del dipendente a
mansioni superiori rispetto a quelle della qualifica di appartenenza (cfr.
Corte Cost. sent n. 57/1989, n. 296/1990, n. 236/1992, n. 101/1995, n.
115/2003, n. 229/2003). Neppure il principio dell'accesso agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni mediante pubblico concorso è incompatibile con il
diritto dell'impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di
percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente, giusta il principio
di equa retribuzione sancito dall'art. 36 Cost. (Corte
Cost. 27 maggio 1992 n. 236). Neppure vale a contrastare tale principio la
possibilità di abusi conseguenti al riconoscimento del diritto ad un'equa
retribuzione ex art. 36 Cost. al lavoratore cui vengano assegnate mansioni
superiori al di fuori delle procedure prescritte per l'accesso agli impieghi ed
alle qualifiche pubbliche, perché "il cattivo uso di assegnazione di
mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale (e
sinanche penale qualora si finisse per configurare un abuso di ufficio per
recare ad altri vantaggio) del dirigente preposto alle gestione dell'organizzazione
del lavoro, ma non vale di certo sul piano giuridico a giustificare in alcun modo
la lesione di un diritto di cui in precedenza si è evidenziata la rilevanza
costituzionale" (in tal senso, S.U., sent. n. 25837 del 2007, cit.).
Il diritto a percepire una retribuzione commisurata alle mansioni
effettivamente svolte in ragione dei principi di rilievo costituzionale e di
diritto comune non è dunque condizionato all'esistenza di un provvedimento del
superiore gerarchico che disponga l'assegnazione. Le uniche ipotesi in cui può
essere disconosciuto il diritto alla retribuzione superiore dovrebbero essere circoscritte
ai casi in cui l'espletamento di mansioni superiori sia avvenuto all'insaputa o
contro la volontà dell'ente (invito o prohibente domino) oppure allorquando sia
il frutto della fraudolenta collusione tra dipendente e dirigente (cfr. Cass.
n. 27887 del 2009). In proposito, la Corte costituzionale ha osservato (n. 101
del 1995) che il potere attribuito al dirigente preposto all'organizzazione del
lavoro di trasferire temporaneamente un
dipendente a mansioni superiori per esigenze straordinarie di servizio è un
mezzo indispensabile per assicurare il buon andamento dell'amministrazione; la
spettanza al lavoratore del trattamento retributivo corrispondente alle
funzioni di fatto espletate è un precetto dell'art. 36 Cost., la cui
applicabilità all'impiego pubblico non può essere messa in discussione (cfr.
sentenza n. 236 del 1992). L'astratta possibilità di abuso di tale potere e delle
sue conseguenze economiche, nella forma di protrazioni illegittime
dell'assegnazione a funzioni superiori, non è evidentemente un argomento che
possa giustificare una restrizione dell'applicabilità del principio
costituzionale di equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente
prestato.
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