Legge e giustizia: venerdì 26 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

LA DEQUALIFICAZIONE DEL SINDACALISTA PUÒ COSTITUIRE COMPORTAMENTO ANTISINDACALE - In base all'art. 28 St. Lav. (Cassazione Sezione Lavoro n. 17948 del 23 agosto 2007, Pres. Sciarelli, Rel. Celentano).

Davide V., dipendente della s.p.a. La Vigile San Marco, inquadrato nel quarto livello del c.c.l. di categoria e dirigente della rappresentanza sindacale aziendale UGL, all'inizio del 2000 è stato privato delle mansioni, in precedenza assegnategli, di addetto alla centrale operativa e destinato in via continuativa a compiti di mero piantonamento. Sia il lavoratore che il suo sindacato hanno contestato la decisione aziendale, facendo presente che essa aveva comportato una dequalificazione, anche perché i nuovi compiti non comportavano l'utilizzo della strumentazione tecnologicamente avanzata che Davide V. in precedenza azionava come addetto alla centrale operativa. L'azienda non ha revocato il provvedimento. La segreteria provinciale di Padova della UGL ha proposto davanti al Tribunale di Padova, unitamente a Davide V., un ricorso per repressione di comportamento antisindacale in base all'art. 28 St. Lav. sostenendo che il prolungato demansionamento del ricorrente era lesivo dell'immagine del sindacato da lui rappresentato e si rifletteva negativamente sulla possibilità di svolgimento delle sue funzioni di rsa. Il Tribunale ha accolto la domanda, ordinando all'azienda di cessare la condotta denunciata; l'opposizione proposta dalla società contro questo provvedimento è stata rigettata. La Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza di primo grado; "il perdurare del demansionamento di un rappresentante sindacale aziendale - ha osservato la Corte - sostanzia oggettivamente una condotta antisindacale, lesiva dell'immagine del sindacato rappresentato e tale fa farlo apparire sostanzialmente privo di peso all'interno dell'azienda così inibendo, e comunque riducendo l'autorevolezza e la credibilità del medesimo e di conseguenza la possibilità di svolgimento materiale dell'attività sindacale e di proselitismo tra i lavoratori."

L'azienda ha proposto ricorso per cassazione, affermando, tra l'altro, che la Corte di Venezia non aveva spiegato le ragioni per le quali il demansionamento avrebbe inibito o ridotto l'attività sindacale del r.s.a. e di conseguenza del sindacato cui egli apparteneva; essa ha inoltre ha sostenuto che, per potere definire antisindacale il comportamento aziendale, la Corte di Appello avrebbe dovuto accertare l'esistenza dell'intento di nuocere il sindacato.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 17948 del 23 agosto 2007, Pres. Sciarelli, Rel. Celentano) ha rigettato il ricorso, osservando che la Corte di Venezia, riferendosi alla lesione dell'immagine del sindacato e della credibilità del sindacalista, ha adeguatamente motivato la sua decisione. Per quanto concerne il denunciato mancato accertamento dell'elemento soggettivo della condotta aziendale, la Cassazione ha confermato il suo orientamento secondo cui, per integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all'art. 28 della legge n. 300 del 1970, è sufficiente che il comportamento controverso leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro, né nel caso di condotte consistenti nell'illegittimo diniego di prerogative sindacali, né nel caso di condotte non tipizzate e al limite in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale.


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