Legge e giustizia: martedì 23 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, In flash

IL LUNGO INTERVALLO TEMPORALE TRA LA SCADENZA DEL TERMINE ILLEGITTIMAMENTE APPOSTO AL RAPPORTO DI LAVORO E L'AZIONE GIUDIZIARIA PROMOSSA DAL LAVORATORE NON È SUFFICIENTE A FAR RITENERE CHE SIA INTERVENUTA UNA RISOLUZIONE CONSENSUALE DEL RAPPORTO - Anche se il dipendente ha trovato altra occupazione (Cassazione Sezione Lavoro n. 17946 del 23 agosto 2007, Pres. Sciarelli, Rel. Celentano).

Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell'illegittima apposizione al relativo contratto di un  termine finale ormai scaduto), per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessaria che sia accertata una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, restando la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto affidata al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto. E' correttamente motivata la decisione del giudice di merito che ha escluso che sia stata provata, sulla base di elementi oggettivi, una fattispecie negoziale di recesso o di risoluzione consensuale, ritenendo non significativi i comportamenti tenuti dai lavoratori quanto al lungo intervallo temporale tra la cessazione del primo rapporto da considerarsi a tempo indeterminato e l'azione giudiziaria, al reperimento di una nuova occupazione negli intervalli non lavorati, alla riscossione del t.f.r., all'iscrizione nelle liste di collocamento e alla riscossione dell'indennità di disoccupazione. Deve escludersi che i comportamenti di adeguamento al nomen juris dei rapporti di lavoro possono esprimere la volontà di risoluzione alla scadenza illegittimamente prevista.


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