|
Legge e giustizia: venerd́ 26 aprile 2024
|
TUTELA DELLA PROFESSIONALITA' NEL PUBBLICO IMPIEGO - Si applica il criterio dell'equivalenza formale (Cassazione Sezione Lavoro n. 2011 del 26 gennaio 2017, Pres. Macioce, Rel. Blasutto).
|
In materia di pubblico impiego
contrattualizzato non si applica l'art. 2103 c.c., essendo la materia
disciplinata compiutamente dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 (come già detto,
nel testo anteriore alla novella recata dal D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 62,
comma 1, inapplicabile ratione temporis al caso in esame) - che assegna
rilievo, per le esigenze di duttilità del servizio e di buon andamento della
P.A., solo al criterio dell'equivalenza formale con riferimento alla
classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi,
indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che possa
quindi aversi riguardo alla citata norma codicistica ed alla relativa
elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale che ne mette in rilievo la tutela
del c.d. bagaglio professionale del lavoratore, e senza che il giudice possa
sindacare in concreto la natura equivalente della mansione (Cass. n. 17396/11;
Cass. n. 18283/10; Cass. Sez. Un. n. 8740/08; v. più recentemente, Cass. n.
7106 del 2014 e n. 12109 e n. 17214 del 2016). Dunque, non è ravvisabile alcuna
violazione dell'art. 52 d.lgs. n. 165/01 qualora le nuove mansioni rientrino
nella medesima area professionale prevista dal contratto collettivo, senza che
il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente delle medesime
mansioni. Restano, dunque, insindacabili tanto l'operazione di riconduzione in
una categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di
esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l'operazione di verifica
dell'equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale
di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano
riconducibili nella medesima declaratoria. Condizione necessaria e sufficiente
affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera
previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente
dalla professionalità acquisita, evidentemente ritenendosi che il riferimento
all'aspetto, necessariamente soggettivo, del concetto di professionalità
acquisita, mal si concili con le esigenze di certezza, di corrispondenza tra
mansioni e posto in organico, alla stregua dello schematismo che ancora connota
e caratterizza il rapporto di lavoro pubblico (cfr. Cass. n. 11835 del 2009).
Tale nozione di equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme
contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a
ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e
l'assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere
determinativo dell'oggetto del contratto di lavoro. Resta comunque salva
l'ipotesi che la destinazione ad altre mansioni comporti il sostanziale
svuotamento dell'attività lavorativa. Trattasi di questione che, tuttavia esula
dall'ambito delle problematiche sull'equivalenza delle mansioni, configurandosi
nella diversa ipotesi della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da
svolgere, vietata anche nell'ambito del pubblico impiego.
© 2007 www.legge-e-giustizia.it |
|