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Legge e giustizia: venerd́ 29 marzo 2024
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GLI OBBLIGHI DI FEDELTA' SONO PIU' AMPI DI QUELLI PREVISTI DALL'ART. 2105 COD. CIV. - Correttezza e buona fede (Cassazione Sezione Lavoro n. 3739 del 13 febbraio 2017, Pres. Macioce, Rel. Di Paolantonio).
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Sebbene l'art. 2105 c.c. richiami
espressamente, oltre al divieto di concorrenza, solo il "divulgare notizie attinenti
all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa" o il "farne uso in modo da poter recare ad essa
pregiudizio", la non ricorrenza di tutti gli elementi costitutivi
delle fattispecie delineate dal legislatore non è sufficiente a fare escludere
la violazione dell'obbligo di fedeltà, atteso che il contenuto di detto obbligo
è più ampio rispetto a quello risultante dal testo del richiamato art. 2105
c.c., integrandosi detta norma con gli artt. 1175 e 1375 c.c., che impongono al
lavoratore di improntare la sua condotta al rispetto dei canoni generali di
correttezza e buona fede (Cass. 9.1.2015 n. 144). Ne discende che il prestatore
deve astenersi dal compiere non solo gli atti espressamente vietati ma anche
quelli che, per la loro natura e per le possibili conseguenze, risultano in
contrasto con i doveri connessi al suo inserimento nella compagine aziendale,
ivi compresa la "mera preordinazione
di attività contraria agli interessi del datore di lavoro, potenzialmente
produttiva di danno" (Cass. 1° febbraio 2008 n. 2474). Ciò comporta
che l'impossessamento di documenti aziendali di natura riservata implica
violazione del dovere di fedeltà anche nella ipotesi in cui la divulgazione non
avvenga, perché impedita dall'immediato intervento del datore di lavoro.
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