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Legge e giustizia: venerd́ 19 aprile 2024
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LA VICENDA TRASLATIVA DELL'IMPRESA NON PUO' COSTITUIRE MOTIVO DI LICENZIAMENTO - Successione legale nel contratto (Cassazione Sezione Lavoro n. 12919 del 23 maggio 2017, Pres. Nobile Rel. Lorito).
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A fronte di un trasferimento
d'azienda o di un suo ramo - così come il legislatore ha inteso prescrivere in
tema di appalto di servizi - in definitiva, l'ordinamento appronta un sistema di
garanzia per i lavoratori, di continuità dell'occupazione, nel senso che il
rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti
i diritti che ne derivano (art. 2112 c.c.). Ne consegue, coerentemente, da un
canto, che la vicenda traslativa dell'impresa non può costituire motivo di
licenziamento né per il cedente né per il cessionario; dall'altro, che non è
richiesto il consenso dei lavoratori coinvolti, dato l'effetto di trasferimento
automatico ex lege connesso alla configurazione del trasferimento d'azienda. In
tale contesto normativo, la cessione di azienda è stata configurata, con
riferimento alla posizione del lavoratore, quale successione legale nel
contratto che, non richiedendo il consenso del contraente ceduto, non è assimilabile
alla cessione negoziale per la quale tale consenso opera da elemento
costitutivo della fattispecie di cui all'art.1406 cod. civ. (vedi Cass.
22/7/2002 n.10701 cui adde ex plurimis, Cass. 9/10/2009 n. 21481, per la
precisazione secondo cui si ha cessione d'azienda anche quando il complesso dei
beni trasferiti non esaurisca i beni costituenti l'azienda o il ramo ceduti,
sempre che gli stessi conservino un residuo di organizzazione che ne dimostri
l'attitudine, sia pure con la successiva integrazione del cessionario,
all'esercizio dell'impresa, dovendo comunque trattarsi di un insieme
organicamente finalizzato "ex ante" all'esercizio dell'attività
d'impresa; Cass. 7/3/2013 n. 5678, secondo cui è configurabile il trasferimento
di un ramo di azienda anche nel caso in cui la cessione abbia ad oggetto solo
un gruppo di dipendenti stabilmente coordinati ed organizzati tra loro, la cui
capacità operativa sia assicurata dal fatto di essere dotati di un particolare
"know how" (o, comunque, dall'utilizzo di "copyright",
brevetti, marchi, etc.), con la conseguenza che la cessione realizza la
successione legale nel rapporto di lavoro del cessionario senza bisogno di
consenso dei contraenti ceduti.
La Corte di Cassazione ha quindi confermato
tali originari approdi rimarcando come a differenza della ipotesi di una mera
esternalizzazione di servizi, configurabile quale cessione dei contratti di
lavoro, che richiede per il suo perfezionamento il consenso dei lavoratori
ceduti (vedi Cass. 16/10/2006 n. 22125; Cass. 5/3/2008 n. 5932), nell'ipotesi
della cessione di ramo di azienda si realizza la successione legale nel
rapporto di lavoro del cessionario che non necessita del consenso da parte dei
contraenti ceduti (così in motivazione Cass. 4/12/12 n.21711). In tal senso del
resto, la giurisprudenza della Corte di Giustizia è da tempo orientata laddove
ha affermato (vedi sentenza 24/1/2002 C/51/00) che l'art. 3, n. 1, della
direttiva sancisce il principio del trasferimento automatico al cessionario dei
diritti e degli obblighi che risultano per il cedente dai contratti di lavoro
esistenti alla data del trasferimento dell'impresa. La regola che risulta da
queste disposizioni, secondo cui il trasferimento avviene senza il consenso
delle parti in causa, è imperativa; non è consentito derogarvi in senso
sfavorevole ai lavoratori. Di conseguenza, l'attuazione dei diritti conferiti
ai lavoratori dalla direttiva non può essere subordinata al consenso né del
cedente o del cessionario, né dei rappresentanti dei lavoratori, né dei lavoratori
stessi (sentenza 25 luglio 1991, causa C-362/89, D'Urso e a., Racc. pag.
1-4105, punto 11).
Tuttavia, benché il trasferimento
del contratto di lavoro s'imponga sia per il datore di lavoro sia per il
lavoratore, la Corte ha ammesso la facoltà per quest'ultimo di rifiutare che il
suo contratto di lavoro sia trasferito al cessionario (v., in particolare,
sentenza 16 dicembre 1992, cause riunite C-132/91, C-138/91, C-139/91, Katsikas
e a., Race. pag. 1-6577, punti 31-33). In questo caso, la situazione del
lavoratore dipende dalla normativa di ogni Stato membro: o il contratto che
lega il dipendente all'impresa cedente può essere risolto su iniziativa del
datore di lavoro o su iniziativa del dipendente, oppure il contratto può
continuare con tale impresa (v., in particolare, sentenza Katsikas e a.,
citata, punto 36). In questi termini, quindi, la Corte di Giustizia si è
espressa, con approccio che non è stato oggetto di corretta interpretazione da
parte della Corte territoriale. Questa, dopo aver scrutinato il comportamento
assunto dall'Arena, ricondotto sostanzialmente ad un rifiuto reiterato di
concludere il contratto di lavoro con la società cessionaria, ha ritenuto che
non fosse in contrasto con la automaticità del trasferimento d'azienda, essendo
il lavoratore tutelato dalla lesione del suo diritto a non lavorare per un
datore di lavoro che non aveva scelto. Tali conclusioni, tuttavia, non sono
coerenti con il dictum, pure invocato, di cui alla citata pronuncia della Corte
di Giustizia, giacché quest'ultima subordina la possibilità per il lavoratore
ceduto di opporsi al trasferimento alle dipendenze del cessionario, alla
normativa di ogni stato membro.
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