|
Legge e giustizia: mercoledì 24 aprile 2024
|
IL MOBBING E' CARATTERIZZATO DALL'INTENTO PERSECUTORIO DELL'AZIENDA - Oltre che dalla sistematicità degli atti vessatori (Cassazione Sezione Lavoro n. 21328 del 14 settembre 2017, Pres. Macioce, Rel. Di Paolantonio).
|
Il medico Clemente S., dipendente
dell'Azienda Sanitaria di Lecce, si è rivolto al locale Tribunale deducendo di
aver subito una condotta vessatoria consistita nella disattivazione del Reparto
di primario presso l'Ospedale di Lecce. Egli ha sostenuto di aver subito
un'azione di mobbing essendo stato privato per oltre un decennio del suo ruolo
di primario e isolato in un reparto fantasma. Pertanto egli ha chiesto la
condanna dell'azienda al risarcimento dei danni. Sia il Tribunale che, in grado
di appello, la Corte di Lecce hanno ritenuto la domanda priva di fondamento,
escludendo il diritto del medico al risarcimento del danno. Clemente S. ha
proposto ricorso per Cassazione allegando vizi di motivazione e violazione di
legge. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso osservando che nella condotta
aziendale denunciata non poteva ravvisarsi una fattispecie di mobbing,
caratterizzata oltre che dalla reiterazione e dalla sistematicità degli atti
vessatori, anche dall'intento persecutorio.
La Corte di Lecce - ha osservato
la Cassazione - si è attenuta al conforme orientamento della Suprema Corte
secondo cui il mobbing richiede: a) una serie di comportamenti di carattere
persecutorio - illeciti o anche leciti se considerati singolarmente - che, con
intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente
sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro
o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere
direttivo dei primi; b) l'evento lesivo della salute, della personalità o della
dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il
pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella
propria dignità; d) l'elemento soggettivo, cioè l'intento persecutorio
unificante di tutti i comportamenti lesivi (Cass. n. 2147/2017; n. 2142/2017;
n. 24029/2016; n.17698/2014).
I motivi non colgono la ratio
della decisione, perché insistono nel fare leva sugli aspetti oggettivi della
condotta complessivamente considerata, quando la Corte di Appello ha respinto
la domanda per l'assenza di allegazioni in merito all'intento persecutorio,
ossia all'elemento soggettivo unificante la pluralità dei comportamenti.
© 2007 www.legge-e-giustizia.it |
|