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Legge e giustizia: mercoledì 24 aprile 2024
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IL MAGISTRATO PUÒ DIFFONDERE ATTRAVERSO LA STAMPA NOTIZIE SU UN PROCESSO IN CORSO AL FINE DI GARANTIRE LA CORRETTEZZA DELL'INFORMAZIONE - Ma non deve mettere a repentaglio lo svolgimento delle indagini ed è tenuto al rispetto dei principi di imparzialità ed indipendenza (Cassazione Sezioni Unite Civili n. 11732 del 20 novembre 1998, Pres. La Torre, Rel. Roselli).
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Ai fini della valutazione in sede disciplinare della diffusione da parte di un magistrato di notizie relative a un processo in corso, può farsi riferimento all'art. 6 del codice etico adottato dal comitato direttivo centrale dell'Associazione Nazionale Magistrati ai sensi dell'art. 58 bis del decreto legislativo n. 29/93. Secondo tale norma il magistrato "quando non è tenuto al segreto o alla riservatezza su informazioni conosciute per ragioni del suo ufficio e ritiene di dover fornire notizie sull'attività giudiziaria, al fine di garantire la corretta informazione dei cittadini e l'esercizio del diritto di cronaca, ovvero di tutelare l'onore e la reputazione dei cittadini, evita la costituzione di canali informativi riservati o privilegiati".
La volontà di rettificare imprecise notizie di stampa non può portare al sacrificio anche parziale dell'attività investigativa mediante la diffusione di notizie idonee a provocare il rischio di interferenza o di pregiudizio alle indagini in corso. Devono applicarsi in materia i principi affermati nella sentenza 8 giugno 1981 n. 100 della Corte Costituzionale, secondo cui, se è vero che i magistrati devono godere dei medesimi diritti di libertà, fra i quali quello di manifestazione del proprio pensiero, assicurati a tutti i cittadini da principi costituzionalmente sanciti, è altrettanto vero che l'esercizio dei suddetti diritti non è senza limiti, purchè questi siano posti dalla legge e trovino fondamento in precetti e principi costituzionali. In tale sentenza inoltre è stato affermato che i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero per i magistrati si rinvengono negli artt. 101 e 104 della Costituzione, i quali, nello stabilire le regole fondamentali dell'imparzialità e dell'indipendenza della magistratura, hanno introdotto nell'ordinamento veri e propri principi di valore assoluto, da tenere presenti non solo nell'esercizio dell'attività giurisdizionale, ma anche "come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento" posto in essere dai singoli: tali principi sono diretti a garantire "la considerazione di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione" e, in pari tempo, ad assicurare "quella dignità dell'intero ordine giudiziario, che la norma qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilità di essa".
Da queste argomentazioni devono trarsi le seguenti conclusioni: 1) dal bilanciamento dei contrapposti interessi deve essere ricavato il necessario equilibrio, al fine di contemperare esigenze egualmente garantite dall'ordinamento costituzionale; 2) riguardo ai magistrati, la libertà di pensiero riceve adeguata tutela come per qualsiasi altro cittadino; 3) sempre riguardo ai magistrati, deve essere peraltro vietato "l'esercizio anomalo" della libertà di pensiero, che sussiste quando siano violati i suddetti principi di imparzialità e di indipendenza; 4) la valutazione del comportamento posto in essere dal singolo magistrato deve essere compiuta dall'organo disciplinare indicato dalla legge, il quale deve accertare se il comportamento in questione sia conforme a quel modello, presente nell'opinione dei consociati, che corrisponde "alla natura e alla rilevanza degli interessi tutelati" e che é posto in "funzione del buon andamento dell'attività giudiziaria".
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