Legge e giustizia: venerdì 26 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

L'ACCORDO FRA L'AZIENDA E IL LAVORATORE PER LA MODIFICA IN SENSO PEGGIORATIVO DELLE SUE MANSIONI PUÒ ESSERE RITENUTO LECITO SE È DIRETTO A TUTELARE IL SUO POSTO DI LAVORO - In caso di controversia l'azienda è tenuta a provare l'esistenza di ragioni organizzative che avrebbe comportato il licenziamento (Cassazione Sezione Lavoro n. 18269 del 22 agosto 2006, Pres. Senese, Rel. Stile).

Moreno C. dipendente della società Officine di Borgo S. Giovanni con qualifica di operaio di terzo livello addetto ai collaudi, dopo avere trascorso un periodo in Cigs, al suo rientro in servizio è stato adibito alle mansioni di carico e scarico di merce mediante muletto. Successivamente egli ha chiesto al Tribunale di Lodi, tra l'altro, di accertare che al rientro dalla Cigs egli aveva subito una dequalificazione in quanto le mansioni assegnategli erano inferiori a quelle in precedenza svolte e di condannare l'azienda al risarcimento del conseguente danno. Sia il Tribunale che la Corte di Appello di Milano hanno ritenuto la domanda priva di fondamento, affermando che la modifica in senso peggiorativo delle mansioni doveva ritenersi legittima  in quanto era stata attuata, con il consenso del lavoratore, per evitargli il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, non essendovi la possibilità di impiegarlo con mansioni equivalenti a quelle di collaudatore, soppresse per ragioni organizzative. In particolare la Corte di Milano ha ritenuto che, eseguendo le nuove mansioni assegnategli dopo il rientro dalla Cigs, il lavoratore le abbia accettate per fatti concludenti, ammettendo così che non vi era la possibilità di destinarlo ad altro incarico equivalente a quello in precedenza svolto. Moreno C. ha proposto ricorso per cassazione, censurando la sentenza impugnata per vizi di motivazione e violazione di legge.

La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 18269 del 22 agosto 2006, Pres. Senese, Rel. Stile) ha accolto il ricorso. Nella motivazione della sua decisione essa ha preliminarmente ricordato il principio ormai acquisito nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'art. 2103 cod. civ., nella parte in cui prevede la nullità di qualsiasi pattuizione che introduca modifiche peggiorative della posizione del lavoratore, non opera allorché il patto peggiorativo corrisponda all'interesse del lavoratore stesso. Ne discende - ha osservato la Corte - che l'accordo per l'adibizione a mansioni inferiori alle ultime svolte, stipulato in considerazione di una prospettiva di licenziamento fondata su serie ragioni, non è da considerarsi in contrasto con le esigenze di libertà e dignità della persona e rappresenta una soluzione più favorevole al lavoratore di quella ispirata ad un'esigenza di mero rispetto formale dell'art. 2103 cod. civ.; presupposti indispensabili della legittimità di un mutamento in senso peggiorativo delle mansioni sono l'effettività della situazione pregiudizievole che si vuole evitare e il consenso del lavoratore, che deve essere prestato validamente ed essere esente da vizi. E' evidente, ha rilevato la Corte, che, quando il datore di lavoro desiste dall'intento di licenziare per addivenire a un c.d. patto di demansionamento, occorre che l'intento di porre fine al rapporto sia stato serio, giustificato e non l'espediente per ottenere prestazioni lavorative in elusione ad una norma imperativa; in caso di impugnativa dell'accordo, l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni di fatto che avrebbero giustificato il licenziamento incombe sul datore di lavoro in base all'art. 5 della legge n. 604/66 e all'art. 2103 cod. civ.. Nel caso in esame - ha affermato la Cassazione - la Corte di Appello di Milano ha ritenuto che la prova della sussistenza di condizioni legittimanti il licenziamento fosse rinvenibile da un lato nell'accettazione da parte del lavoratore di mansioni peggiori rispetto a quelle originarie e dall'altro nella carenza di mansioni equivalenti, desumibile dal fatto in sé dell'accettazione poiché questa implicava ammissione della veridicità del fatto. Questo ragionamento - ha affermato la Suprema Corte - è censurabile in quanto l'esecuzione delle mansioni inferiori assegnate non significa di per sé accettazione di una proposta contrattuale modificativa del precedente assetto del rapporto lavorativo, né, a maggior ragione, può significare riconoscimento di mancanza di posti di lavoro equivalenti, in assenza di ogni specificazione di circostanze che possano deporre in tal senso.


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