Legge e giustizia: giovedì 25 aprile 2024

Pubblicato in : Lavoro, Fatto e diritto

IL DANNO ESISTENZIALE PRODOTTO DALLA PERDITA DI UN CONGIUNTO HA NATURA NON PATRIMONIALE ED È DIVERSO DAL DANNO BIOLOGICO - La sua esistenza è presunta, salvo prova contraria (Cassazione Sezione Terza Civile n. 13546 del 12 giugno 2006, Pres. Nicastro, Rel. Scarano).

Angelo C. è morto nel febbraio 1993 a causa di un incidente stradale. La vedova Lidia ed i figli Alex e Massimiliano hanno chiesto al Tribunale di Brescia la condanna del responsabile dell'incidente e della compagnia presso la quale questi era assicurato al risarcimento di tutti i danni da loro subiti ivi compreso il danno biologico. Il Tribunale ha condannato i convenuti al pagamento delle somme di lire 285 milioni a titolo di danno patrimoniale subito per la perdita dell'apporto di contribuzione economica che era dato dal defunto ai suoi famigliari e di lire 200 milioni a titolo di danno morale; ha rigettato invece la domanda di risarcimento del danno biologico per mancanza di prove di malattie psico-fisiche insorte a causa della scomparsa del congiunto. In grado di appello la Corte di Brescia ha condannato i convenuti al pagamento dell'ulteriore somma di lire 90 milioni a titolo di risarcimento del danno subito dai congiunti della vittima "jure proprio" in ragione della "permanente alterazione del rapporto familiare conseguente alla perdita dello stretto congiunto e alla privazione improvvisa di tutti quei legami affettivi, etici e psicologici che costituivano il suo modo d'essere anche nei rapporti esterni e che erano una componente fondamentale dell'equilibrio e armonia del nucleo familiare". La Corte ha fatto rientrare questa permanente alterazione o danno esistenziale nel concetto di danno biologico, osservando che "in una moderna concezione della persona intesa come portatrice di valori, aspettative e diritti che trova il suo punto di riferimento costituzionale negli artt. 2, 29 e 32 della Costituzione, l'ordinamento giuridico deve tutelare il diritto alla salute, ossia il benessere fisico e psichico inteso in senso ampio, da ogni ingiusta offesa altrui". In proposito la Corte ha rilevato, tra l'altro, che il defunto conviveva pacificamente con la moglie ed i figli ed aveva con loro anche rapporti di collaborazione. La compagnia assicuratrice ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte di Brescia per vizi di motivazione e violazione di legge; essa ha tra l'altro rilevato che la Corte avrebbe dovuto porre a carico dei congiunti della vittima la prova del danno esistenziale.

La Suprema Corte (Sezione Terza Civile n. 13546 del 12 giugno 2006, Pres. Nicastro, Rel. Scarano) ha rigettato il ricorso, pur correggendo la motivazione della Corte di Brescia nel senso che il danno esistenziale costituisce un pregiudizio non patrimoniale diverso dal danno biologico. In proposito essa ha richiamato la recente decisione delle Sezioni Unite n. 6572 del 24 marzo 2006, secondo cui il danno esistenziale consiste in "ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) provocato sul fare areddittuale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno".

Per quanto attiene alla prova la Suprema Corte ha affermato che nel caso di perdita del congiunto il danno esistenziale va presunto, ferma restando la possibilità della prova contraria. Provato il fatto-base della sussistenza di un rapporto di coniugio o di filiazione e della convivenza con il congiunto defunto, è da ritenersi - ha affermato la Corte - che la privazione di tale rapporto presuntivamente determini ripercussioni (anche se non necessariamente per tutta la vita) sia sull'assetto degli stabiliti ed armonici rapporti del nucleo familiare, sia sul modo di relazionarsi degli stretti congiunti del defunto (anche) all'esterno di esso rispetto ai terzi, nei comuni rapporti della vita di relazione.

Incombe allora alla parte in cui sfavore opera la presunzione - ha aggiunto la Corte - dare la prova contraria al riguardo, idonea a vincerla (es. situazione di mera convivenza "forzata", caratterizzata da rapporti deteriorati, contrassegnati da continue tensioni e screzi; coniugi in realtà "separati in casa" ecc.).


© 2007 www.legge-e-giustizia.it